La grazia di "Verità rivestite d'ombra" vive nel sussurro di Lullabier (aka Andrea Vascellari), fatto di contatti lievi e tremori profondi, di cifre liriche che intonano il brivido dell'esistenza con accento carezzevole e magnetico. Il suono delle corde pizzicate proietta la sua luce su tutta la linea musicale incontrando il tibro gentile di una vocalità raccolta nel suo crepuscolo di malinconia. Lullabier ama vestire la forma confidenziale del cantastorie che cattura delicatamente, sebbene in realtà sia depositario di una scrittura articolata e ricca di bordoni preziosi, talora turbata dal ruggito della elettrica, talaltra iniettata di ritmi siderali e guizzi elettronici, di luci notturne e cori di armonie alate. Pure carezze per la mente. (
Rockerilla)
“Verità vestite d’ombra” si compone di otto canzoni, mesmeriche e minimaliste, fin dai titoli, tutti di una parola sola (“Calliope”, “Chance”, “Desiderio”, “Crepuscolo”, ecc.). Litanie accompagnate da chitarre cantilenanti, sostegno ritmico ridotto all’essenziale, voci, qualche linea di elettronica come macchie di Rorschach. Testi profetici, lapidari, mitologici, crepuscolari, il songwriter veneto è un tipo da seguire, una via italica allo slo-core, tendenza poco italiana. Non è che si ecceda in sadcore, ma insomma non mettete Lullabier come sottofondo a una festa, sia chiaro. Sebbene a volte i brani risultino un poco deboli melodicamente nelle parti vocali – su questo Lullabier a nostro avviso deve lavorarci su – la scaletta del disco, anche dopo diversi ascolti, non cessa di accattivare. La semplice, drammatica espressività di Vascellari fa centro in “Grisù”, che sprofonda minacciosa nello stomaco della terra; “Desiderio” è dream-pop in odore di Cocteau Twins; “Schiavi”, che pullula sopra un tintinnio di chitarre, sgorga lenta da chissà quanti ascolti dei Low; “Cyclette” sembra più aggirarsi nei paraggi degli Amor Fou. E se “Chance” è il momento di musica (più) leggera, tra Battisti e (se non sbagliamo) Grignani, “Neve” si dondola dentro quell’iteratività sospesa nello stile dei Red House Painters di “Ocean Beach”. (
Il Mucchio)
Dopo una serie di album autoprodotti, e del precedente Mai nulla di troppo (su ViVeriVive, netlabel da lui ideata) Andrea Vascellari, in arte Lullabier, pubblica il primo disco su etichetta Oltrelanebbiailmare: Verità rivestite d’ombra. Si tratta fondamentalmente di un “cammino” artistico, quello di Lullabier, in cui nessuna tappa è stata bruciata, anzi, il suo ultimo lavoro è il risultato delle esperienze – siano esse vincenti o meno – che lo hanno portato a conquistare un piccolo spazio nel panorama musicale indipendente. Ascoltando il disco del giovane trevigiano, possiamo confermare quanto dice lui stesso sul suo sito, quasi disapprovandosi: Lullabier “parla troppo”, ma di questo dovrebbe compiacersi poiché le sue parole non sono mai vuote, piuttosto si tratta di ragionamenti musicali – sonori e lirici – di un certo spessore. Prendete come esempio la prima traccia, Calliope, magari mentre vi perdete nell’immagine che sovrasta la copertina dell’album, quella foto arida di colori, che viaggia sul treno dell’ambiguità del segno linguistico: troverete la stessa impenetrabilità nei suoi testi, dei microcosmi quasi ermetici, comprensibili soltanto in funzione del tutto, del disco nella sua interezza. D’altronde, uno che si permette metafore poco convenzionali, concedendosi pure qualche licenza poetica, non ha che da esser applaudito: “Sopra una cyclette pedalo e non raggiungo un obbiettivo: infiniti punti medi mi separan dall’arrivo”, perché la vita stessa è come una cyclette, si scende quando si ha realmente messo la parola fine. I temi del disco sono abbastanza variegati, c’è però un comune denominatore, un concetto ricorrente legato alla paura di soffocare, alla mancanza di ossigeno; si ascoltino Crepuscolo, ma soprattutto Grisù, quel gas incolore e inodore che “spezza le piume con un soffio”. Partendo dall’autovalutazione che Lullabier fa della sua musica, definendola minimalista, terapeutica e di facile ascolto, a noi sembra di trovarci in un territorio abbastanza neutro della musica indie. Un po’ come accade con un altro cantautore di “litanie ascetiche cullate su rintocchi ipnotici” (altra auto-definizione con la quale esaltiamo il suo parlar troppo), tale Maximilian Hecker, anche il lavoro di Lullabier non si incastra nelle vecchie scaffalature dei generi, seppur minimalista, e per questo, a detta di alcuni, facilmente catalogabile. La sua musica è contrastante nel nascere, Chance è si una ballata, ma chi mai avrebbe il coraggio di catalogare quel “in fondo non è così semplice attutire il colpo che è conseguente al salto, e rimanere almeno un po’ felice”, nello stesso ripiano di tronfi eccedenti di significato come sono i Marlene Kuntz o gli Afterhours? Insomma, musica, poesia e filosofia, non per tutti ma sicuramente per coloro i quali sono ancora in tempo per quel fascinoso treno del quale parlavamo pocanzi. Visto che sa farlo, lasciamo che sia Lullabier a concludere in bellezza, con le stesse parole della sperimentale Schiavi: “Spesso l’artista che tesse una trama sembra uomo a metà, se la sua arte è viva”. (
Indie-eye)
Andrea Vascellari quest’estate mi manda il suo disco e mi dice che suona lo slowcorre. Che ama i Low e che ha aperto concerti, fra gli altri, di Jessica Bailiff. Io scopro poi che è assai giovane e che viene dal nord est. I conti non mi tornano. Lo slowcorre in Italia? Un giovane nordorientale che prende chitarra, qualche amico e poc’altro e fa un disco intero degno di questo nome e anche degnamente registrato? Qualche pregiudizio mi sfiora. Al primo ascolto però subito mi ricredo. E subito la ventata di fresca malinconia della chitarrina di Calliope mi fa sorridere. E subito dopo mi capita di canticchiare il ritornello di Cyclette, uno dei pezzi meglio riusciti, assieme a Grisù e alla ballatona finale Crepuscolo (o forse no, non so, ora vado a riascoltarla…si si penso che Andrea abbia fatto buoni ascolti in adolescenza, Red House Painters, e insomma tanta di quella roba lì…). Il ragazzo ci sa fare e ti trascina, per quanto possibile. E sembra ne sappia assai del genere di musica che suona. Forse i testi ed il cantato sono ancora un po’ pretenziosi e da sgrezzare (in alcuni pezzi c’era forse da usare meno parole…), ma la parte strumentale farà tornare alla mente dei pochi slowcorridori all’ascolto tempi musicalmente molto più fasti di questo. Mi piace un sacco questa chitarrina, cazzo. Tutta manna dal cielo per un tristone come me. Poi però storco il naso. Due volte. Delusione (pure troppa) per Chance e (un po’ meno) per Neve. Il giovane ci cade in un’improvviso e inaspettato rigurgito cantautoralprovinciale. Della provincia dei cantautori italiani un po’ facili e faciloni. Quelli che, per capirci, su queste frequenze non ci piacciono per nulla. Ma insomma sei pezzi su otto. Un giovane nordorientale che suona lo slowcorre. Mi sembra buono, cazzo. Molto buono, per i tempi che corrono. (
Indie-Zone)
Lo avevamo lasciato pochi giorni fa con "Mai Nulla Di Troppo" - uscito ad aprile-; adesso, il produttivo e cupo ingegno di Vascellari offre all'audience altri otto frammenti di cantautorato italiano all'insegna di ritmi lenti e riflessioni che sfociano nella filosofia.
Vantante la partecipazione di Faro in "Neve" e "Cyclette", l'album si presenta in modo compatto e tremendamente sadcore, così com'era stato per i lavori precedenti.
La voce, tuttavia, è più curata e profonda: vi ci si perde quasi fosse un pozzo in cui è possibile rispecchiarsi nonostante le ombre siano protagoniste indiscusse della storia lunga più di mezz'ora.
Gli arpeggi di chitarra incantano ed ipnotizzano, mentre le basi elettroniche si confondono con la maestosità del basso, unica candela nel buio. (
LoudVision)
Dietro il moniker Lullabier c’è il solo project di Andrea Vascellari, musicista che ha già al suo attivo diversi album, ultimo in ordine di pubblicazione è questo Verità rivestite d’ombra uscito da qualche tempo su etichetta Oltrelanebbiailmare. I punti di riferimento per Vascellari sono da ricercare in certo dream pop vicino ai Cocteau Twins o, per restare nel nostro Paese, agli squarci malinconici dei Magpie di Daniele Carretti (Offlaga Disco Pax), con punte di slow core affini ai Low, dei quali Alan Sparhawk risultava fino a qualche tempo fa compagno di rooster di Lullabier con la label Silber che ha pubblicato i lavori di entrambi.
Otto tracce nelle quali il tocco gentile e le liriche introspettive, ed in italiano, creano trame sonore eteree ed eleganti. (
Shiver)
Aprile 2011 vede l'uscita di "Mai Nulla Di Troppo" distribuito dall'etichetta ViVeriVive, grazie all'opera di Lullabier, già attivo con diverse produzioni per la Silber Records, oggi è in prima linea con le sue "Verità Rivestite D'Ombra" per l'etichetta nostrana Oltrelanebbiailmare, disponibile in digitale e in cd in edizione limitata. L'album è scritto, prodotto e arrangiato dallo stesso Lullabier, nascosto sotto le vesti di Andrea Vascellari, il giovane cantautore veneto è qui accompagnato dalla chitarra di Stefano Faraon, co-arrangiatore dei brani "Cyclette" e "Neve", in collaborazione inoltre con Sergio Dal Cin per la registrazione e il mixer.
Otto tracce minimali sin dai titoli.. ascoltiamo melodie eteree, ritmi ipnotici seguiti da linee elettroniche in uno slo-core lento e malinconico, cullato da una voce elegante, profonda e riflessiva. La sua drammatica espressività non passa inosservata! Rimaniamo in attesa di ascoltare presto i nuovi racconti di Lullabier! (
Alone Music)
Tempi lenti, modalità minimalista: la voce di Lullabier è carezzevole e malinconica, racconta (più che cantare) di ambienti crepuscolari, nebbiosi. La musica si apre rappresentando scenari meditativi, riflessivi e psichedelici con melodie che incantano. I suoi testi, di una filosofia originale, si avvalgono di metafore interessanti e introspettive. Sicuramente un artista intrigante ed enigmatico, poco “italiano” come approccio musicale: l'unico brano che si avvicina al cantautorato italiano è “Chance”. Ironia, l’unico ad avere un titolo in inglese. (
Saltinaria)
I have listened to ‘Calliope’, the first track of this album and loved it. Loved the simple clean guitars and vocals although didn’t understand a word cause its being sung in Italian. Reminds me of a local singer I like (Fortis) that has this same writing quality and style. (
LoFiles)
Et si finalement, la plus belle récompense du blogueur était de recevoir de temps en temps dans sa boîte aux lettres virtuelle, au milieu des innombrables sollicitations merdiques, un album dont il n'aurait jamais entendu parler autrement et qu'il va chérir ? Car s'il ne m'avait pas trouvé, serais-je tombé un jour sur la musique de Lullabier ? Disons le tout de suite, l'italien fait dans le slowcore (déjà un bon point pour moi...) et consacre même au "genre" un blog des plus complets. On pourrait facilement en faire le pendant local d'un Rivulets, d'un Barzin ou d'un Gravenhurst mais avec deux différences de taille : il chante dans sa langue et sonVerità rivestite d'ombra offre une variété de couleurs rare pour un album de ce style. Le premier point est très loin d'être neutre. Le chant en italien n'est guère fréquent chez les artistes qui nous intéressent et aura tendance à évoquer des mauvais souvenirs subis à la radio (Ramazzotti, Pausini, Zucchero...). Même léger ou murmuré, il propose un rythme et des sonorités différentes de ce à quoi on est habitué en anglais sur ce type de musique et demande un certain temps d'adaptation. Et une fois entré dedans, il a tendance à prendre toute la place... Musicalement, les huit titres de Verità rivestite d'ombra proposent bien plus de diversité que la plupart des disques de slowcore. Bien sûr, c'est lent et pas franchement festif (on vous déconseille de le sortir pour le réveillon ou alors avec le café de 6h du mat', pour ne pas renforcer la mal de crâne). Ca tient tantôt de la ballade, tantôt de la complainte. Mais les mélodies comme les textures se promènent sans cesse dans des univers différents. On navigue entre folk et dream-pop, flirtant parfois avec l'ambient ou le shoegaze. On trouve même un 'Schiavi' étonnamment Curesque... Bref, un très beau disque qu'on ne peut que conseiller à tout amateur de musique riche, calme et reposante. (
Dans Le Mur Du Son)
Andrea Vascellari (Treviso) in arte Lullabier, un giovane che già ha aperto un concerto di Jessica Bailiff, colpisce per l’alacrità della sua ricerca artistica e per la sua produttività, avendo fatto uscire durante il 2011, nel giro di poco tempo, ben due album: Mai Nulla Di Troppo ad aprile (scaricabile gratuitamente) e Verità Rivestite D’Ombra a maggio. La prima cosa a saltare all’orecchio è il minimalismo etereo, dei testi e della musica, costruito mediante la sottrazione di quanto superfluo (non pare quindi una casualità che, come nota Gianluca Veltri, tutti i titoli siano composti da una sola parola). Ci sono poi delle dialettiche costanti tra gli arpeggi di chitarra e le basi elettriche, tra i riferimenti alla classicità greco-latina e quelli alla vita di ogni giorno. Capita di rado che un album si apra con un’invocazione al monte Elicona, seguita da quella alla Musa, o che figure mitiche (Calliope) convivano con oggetti quotidiani come una cyclette… Il cantautore sembra suggerire che proprio da cose a prima vista insignificanti, ma in realtà custodi di “verità rivestite d’ombra”, scaturisca l’epifania: Lullabier rende poeticamente queste verità con una sorta di correlativo oggettivo in grado di trasformarle in allegorie (pensare a frasi come sopra una cyclette pedalo e non raggiungo un obbiettivo: infiniti punti medi mi separan dall’arrivo). Sono dicotomie che creano un effetto straniante, una sorta di distonia emotiva, una tristezza controllata e immersa in un’atmosfera crepuscolare. Ogni volta che ci troviamo davanti ad artisti alla ricerca di un proprio stile è sempre difficile affibbiare un’etichetta al loro genere. A causa di arrangiamenti scarni e ritmi rallentati che ricordavano i Low (gruppo molto apprezzato da Andrea), si è parlato di slowcore (o slo-core, che dir si voglia). Come spesso accade, però, le griglie imposte dalla (legittima?) necessità di catalogare sono strette: così in “Chance” (paradossalmente, l’unica con un titolo non in italiano) si colgono rimembranze battistiane, mentre in “Crepuscolo” troviamo stilemi tipici della ballata struggente. Alcuni si sono lamentati di linee vocali un po’ deboli, ma a ogni modo va riconosciuto che quel tono da litania, quell’impostazione un po’ derivata (quasi un omaggio a Mark Kozelek dei Red House Painters, altra band che forma il background di Andrea), ben s’intona col clima generale del disco. Un lavoro ben fatto, davvero: la strada imboccata sembra essere quella giusta. (
TheNewNoise)