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Recensioni di "Mono/Stereo"

C'è un aspetto duale che ha guidato la mano di Lullabier alla creazione del nuovo album. Il titolo Mono/Stereo è una sorta di metafora che allude alla dicotomia isolamento/condivisione, fatta teatro di percorsi drammaturgici che si dispiegano fra i languori e gli umori della ballata lirica dai tempi dilatati. Un labirinto di scorci contemplativi che al desiderio giustappongono la nostalgia, all'inquietudine l'afflato vesperale, alla solitudine il deliquio. La scrittura è rapita come un oratorio di rivelazioni notturne e sussurrate; emblematica la presenza fra gli ospiti di Edgardo Moia Cellerino (Le Masque) per il brano Soliloquio, gemma fra le gemme di un disco malinconico e sognante (Rockerilla)

Mai troppa fretta in Lullabier nel completare i suoi concept sempre coerenti, basti dire che "Mono/Stereo" arriva a sei anni dall'ultima raccolta di inediti "Osservazione rilassamento e assenza di giudizio", che peraltro era un CDR in 84 esemplari. Resta "Fitoterapia" ('14) l'album che meglio ha illustrato la peculiare vena compositiva di Lullabier, eretta su fondamenta slowcore e sulla scelta della nostra lingua, con cui ha costruito una discografia degna di nota che non teme la marginalità. L'iniziale Puzzle (che tratta del tentativo di mettere insieme i pezzi) dimostra uno spostamento verso una dimensione più cantautorale, in un lavoro che tiene fede al suo sottotitolo ("ovvero dell'isolamento e della condivisione"), una sorta di precisazione che è vezzo esplicativo che vuole meglio introdurre anche ai singoli brani che alternativamente affrontano i due stati emotivi. Vascellari nei testi ha in buona parte smussato certe spigolosità, da rimarcare la ballata di più chiara impronta folk Sedici (in cui si narra un episodio del passato), Indagine (in cui viene affrontato un tipo particolare di egoismo), che nelle liriche sottolinea l'ineluttabilità della solitudine ("se spossato rincaso indaghi sul mio viso, sospetti inquietudine nascosta in un sorriso, vuoi che condivida ogni ombra muta ma la malinconia è solo mia"), Sipario (che idealmente giunge ad una conclusione ("il rogo ha bruciato il tetto, ma almeno vedo le stelle che come un caldo lenzuolo si adagiano sulle spalle, nell'aria si dissolverà la poesia"), e soprattutto Trifoglio (che utilizza un motivo ricorrente nella poesia crepuscolare), che col suo "ripenso al giardino di fiori non colti, di vite accennate, di cose mai state" è strettamente collegata a Soliloquio (che andrebbe ascoltata prima di "Colloquio" dei Lei Masque), con la voce di Edgardo Moia Cellerino e il testo che è, come il pezzo della suddetta formazione milanese, tratto da "Un Giorno" di Carlo Vallini. (Blow Up)

Musica terapeutica, litanie acustiche, languidi riverberi, arpeggi sonnambuli. Non c’è modo migliore per inquadrare la produzione del cantautore veneto Lullabier – al secolo Andrea Vascellari – che la definizione che lui stesso ne dà. Andrea, almeno per quel che concerne il panorama musicale nostrano, è unico nel suo genere: non esiste infatti un altro slowcore-songwriter. L’ultimo lavoro a firma Lullabier, “Lost In Translation”, risale al 2016, ma era un disco di pezzi stranieri già editi e tradotti per l’occasione da diversi addetti ai lavori che collaborarono al disco. Qui siamo di fronte ad un vero long di inediti, espresso in forma di concept-album come i precedenti “Fitoterapia” (2012) e “Osservazioni rilassamento e assenza di giudizio” (2014). Sempre alla ricerca del cantautorato più minimale e – per questo motivo – d’impatto immediato, “Mono / Stereo” presenta un punto di rottura abbastanza evidente rispetto al recente passato, di natura prettamente musicale: meno folk, decisamente più acustica, un plus non da poco se si parla di concept. Andrea ha impiegato circa 5 anni, come lui stesso dice presentando il disco, a raggiungere questo equilibrio sonoro, frutto soprattutto dell’assemblaggio della musica e delle idee che in questo lustro hanno silenziosamente lavorato nella sua testa. Il filo conduttore dell’album è la contrapposizione tra isolamento e condivisione, un’alternanza sia concettuale che fisica, visto che una scelta stilistica ben precisa ha assegnato le tracce dispari al primo e quelle pari al secondo. Inutile ribadire, come fatto per tanti altri artisti usciti in questo periodo, quanto sia pertinente in questo periodo parlare di solitudine e di compagnia ritrovata. La struttura musicale poggia su basi semplici ma eterne: chitarra acustica, voce e pochi elementi intorno, che si alternano in vesti diverse e donano una convincente quadratura ai singoli pezzi e al disco nel suo insieme. Si parte con Puzzle, dove Andrea Da Ros si inserisce subito in modo preciso con la sua chitarra elettrica, creando una serie di suoni che fanno da tappeto al resto. In Sedici compare un pianoforte, in un finale in cui lo slow rallenta ulteriormente, fino quasi a fermarsi. Con Trifoglio sale di nuovo alla ribalta Da Ros, che tocca corde in grado di generare quasi voci in appoggio a quella di Vascellari. L’unico accenno di cassa si ha con Indagine, mentre Soliloquio è – grazie alla voce recitante di Edgardo Moia Cellerino dei leggendari Le Masque – un omaggio al poeta Carlo Vallini. Un omaggio ulteriore, perché Vallini era già stato celebrato dal duo Cellerino / Vascellari in “Soundtracks” (2019), disco del gruppo milanese pubblicato dalla stessa Oltrelanebbiailmare. Via del tutto l’elettricità, con Notturni alla chitarra acustica se ne affianca una classica, mentre il piano torna a fare capolino in O. O. B. E., unico pezzo in cui lo slow core accelera leggermente le battute. Le sei corde tornano ad elettrificarsi e a stendere una languida prateria intorno al binomio voce / chitarra acustica nelle conclusive Specchio e Sipario. Andrea dice di essere molto soddisfatto del lavoro svolto. Sente che le chitarre insieme hanno lavorato bene, che i suoi testi godono di una convinzione maturata in una lunga fase di studio e di esperienze e che, nel mezzo, la collaborazione con Cellerino ha dato i frutti sperati. C’è da essere d’accordo su tutta la linea: “Mono / Stereo” è un lavoro riuscito, dalle intenzioni alla messa in pratica. Gode di ottima produzione, di idee di fondo sostanzialmente valide e della capacità di essere sempre in carreggiata, senza mai dare l’impressione di perdere mordente o voler strafare. Peraltro, gli amanti del collezionismo saranno lieti di sapere che Oltrelanebbiailmare ha curato l’uscita di un compact disc in edizione limitata di 200 copie, con triplo digisleeve e sovracopertina in carta da lucido, con artwork curato da Stefano Gentile. Ad Andrea Vascellari come artista, nel 2020, va riconosciuto il merito di aver intrapreso una strada – ormai dieci anni fa – e di non averla più lasciata, mettendo nel frattempo a segno colpi di ottima fattura. (Impatto Sonoro)

Chiudete gli occhi e lasciatevi incantare da questo mondo intimo e splendente fatto di ninnananne ipnotiche, suoni galleggianti, parole lunari. Mono/Stereo di Lullabier è uscito a maggio ma la qualità davvero rara di quest’uscita indipendente impone di scriverne anche a distanza di qualche mese. Lunghissima la gestazione, a quanto racconta lo stesso Andrea Vascellari, anima del progetto: cinque anni di auto-produzione sono serviti per arrivare al nitore perfetto di queste nove tracce. Basterebbe questo, in un’epoca in cui tutti gli artisti cedono al consumismo dei singoli, per capire che un po’ di attenzione la merita. Cinque anni, eppure sono pochissimi gli strumenti in gioco: la voce doppiata, l’acustica che tiene gli accordi o arpeggia, il piano ultra minimal o l’elettrica che rintocca o geme in lontananza. Verrebbe da citare anche il riverbero, vista l’importanza che assume nel trasformare ogni canzone in un paesaggio sonoro simile alle cose che si vedono in un dolce dormiveglia. Davvero, può valere la massima che la semplicità è complessità risolta. La stasi estatica dello slowcore, la qualità onirica del dream pop, la dolcezza intima dell’indie folk: lungo la tracklist ogni minimo elemento appare perfettamente cesellato ed integrato in un insieme organico, con eleganza e consapevolezza artistica. La tracklist scorre con un ritmo lento ma perfetto, alternando il tema dell’isolamento (tracce dispari) a quello della condivisione (pari). Meritano una menzione i testi, che sono né più né meno che piccole poesie. La label Oltrelanebbiailmare ha curato di Mono/Stereo un’edizione limitata di 200 copie in CD, con triplo digisleeve e sovracopertina in carta da lucido. Questi sono i progetti da sostenere, facciamolo! (Sherwood)

Lullabier take their time in that time-honored slowcore tradition with the soothing “Mono/Stereo”. Everything about it possesses a lovely, dreamy disposition. Arrangements keep things to the essentials. The tracks offer a bit of intimacy for the group engages in some soothing interplay. By allowing such a simple beauty to take hold, they at times touch upon the grace of early Low records. Similar to those albums, they make sure that the whole is greater than the sum of parts. Not a moment is wasted for they make sure that each flourish counts. Right in the very center of it all are those gorgeous vocals that sing with so much contemplation. A gentle introduction into their world happens with the tender opener “Puzzle”. Delicate acoustic guitars weave together on the hopeful spirit of “Sixteen”. Their voices have such a careful approach for every word is weighted with so much importance. Surreal in its textures is the half-remembered dream of “Clover”. Careful work gives “Survey” an element of shoegaze to it for it wafts up into the sky. Easily the highlight of the album comes from the spacious serene scope of “Soliloquy” with its expertly meditative mood. With hints of folk comes the pleasant “Night”. An insistent beating heart lets “O.O.B.E.” shine through for the pulse gives it a sense of life. Bits of a jazzy disposition comes into focus with “Mirror”. Effortlessly closing out the entire album is the powerful “Curtain”. “Mono/Stereo” shows off the undeniable skill of Lullabier in crafting an aural universe that is uniquely their own. (Beach sloth)

Recensioni di "2512"

Le feste natalizie sono terminate, l’atmosfera si è dissolta, le persone tornano alla loro routine con la speranza che i 365 giorni a venire siano migliori dei precedenti. Oggi mi ritrovo nel freddo e nebbioso nord-ovest Italia per parlarvi di un EP “2512” ,uscito poco prima dell’inverno, con i migliori propositi per non mancare all’appello sulla“lista dei buoni” di Babbo Natale. L’autore è Andrea Vascellari, in arte Lullabier, Classe ’85, in attività dal 2010, che si descrive come un “porta pacchetti di dream-pop & slowcore & drone & minimal-folk”. Ambientate nelle terre del nord-est Italia le quattro canzoni che compongono l’EP ci proiettano nei giorni prenatalizi di una cittadina ai piedi delle montagne Il primo brano Natale a Ceneda, scritto assieme a FARO, è una ninnananna da primo mattino che rimembra il dream pop anni ’90-2000 dei Grandi Laghi del Mid-West – in particolar modo quello di The Aluminium Group e Sufjian Stevens – ottima con il caffè al risveglio. Tra le sue note vengono raccontate classiche scene di gioventù rurale. Si prosegue con Natale a Serravalle, rivisitazione di Astro del ciel di mr. Franz Xaver Guber – un evergreen natalizio più conosciuto come Silent Night. Dopo un mini-intro noise, la lirica, le chitarre e i campanelli vengono accompagnati dalla voce del TG locale di Vittorio Veneto (TV) che annuncia fatti di cronaca locale in contrasto con l’atmosfera e i temi del Santo Natale. Troviamo poi una versione acustica di un suo singolo del 2009 (White Dizziness). Essa ci trasporta nell’immaginario di una passeggiata sotto la neve, Sparklehorse ed Elliot Smith sembrano essere muse per lui durante tutto l’ascolto e questo ci piace. La “favola natalizia” in cui ci porta Lullabier, termina con un suo brano più recente – With A Star del 2011- remixato da Brian John Mitchell. La versione originale presente in una compilation AA.VV. “Six Feet Compilation / Six Feet Below The Snow” con lo stesso tema natalizio, viene invece ora arricchita con riverberi molleggianti rendendola ancora più chamber e lo-fi ma con tanto di albero addobbato e calza sul camino. “2512” è un lavoro che ho apprezzato particolarmente in relazione al clima natalizio che i paesi medio piccoli della provincia creano e vivono. Il solstizio d’inverno e i suoi giorni circostanti, appaiono eccellenti per cullarsi con queste quattro semplici tracce, per qualcuno come per esempio il sottoscritto, su audiocassetta con vista camino e metro di neve in giardino. (Impatto Sonoro)

Did you wake up, as I did, wanting a super chill version of Low’s “Just Like Christmas,” sung in Italian? You did? Well, that works out well for all of us, as Vittorio Veneto’s Lullabier has realized our dream with the leadoff track on his wonderful new EP, 2512. The novelty of hearing this classic song in Italian is not the only draw to the song – the laid-back indiepop orchestration is absolutely beautiful. However, it is the small, but significant, addition of the cabasa (at least that’s what I think they are using – the hand percussion), that evokes a crackling fire and draws out a warmth in this song that I don’t think I have heard before. The other tracks are also excellent – I enjoy the layered spoken word of “Natale A Serravalle (Silent Night),” and the English-language “White Dizziness” is understated and gorgeous. Lullabier has made some wonderful choices, and is very much on my radar now, and I hope yours as well.
Bottom Line: Italy is on the board with this stellar cover by Lullabier, whose warm, beautiful orchestration and production has extracted new qualities from an already beloved song. (Christmas Underground)

Nuova pubblicazione per Lullabier, ossia Andrea Vascellari alfiere del dream-pop italico. Il minimal-folk singer di Vittorio Veneto presenta un E.P. di 4 brani di pura atmosfera natalizia in cui le brume e i colori del Nord Est si materializzano all’ascolto delle dolci e oniriche armonie disegnate dall’artista. Con Natale a Ceneda ci troviamo nel bel mezzo di una qualunque scena serale di una qualsiasi cittadina del Nord; gli amici, il girovagare tra bar e case e strade imbiancate. Natale a Serravalle è la rivisitazione suadente ed eterea del classico natalizio Stille Nacht; chitarre, campanelli e tappeti sonori soffusi e sognanti accompagnano armonie vocali alla Simon & Garfunkel. White Dizziness che fu nel 2009 il primo singolo di Lullabier, è ora riproposto in chiave acustica e soavemente psichedelica. Nuvole di riverberi e di emozioni nella conclusiva With a Star (Brian John Mitchell remix) brano del 2011, basato sul tema di Tu scendi dalle stelle, ora magnificamente pregno di sognante poesia. I quattro brani di questo “2512” ci trasportano in un viaggio sensoriale breve, ma intenso come solo un sogno può essere e proprio come un bel sogno lascia al suo svanire un dolce senso di dolcezza e nostalgia. Bello. (Distorsioni

Couldn’t resist including, truth is it was on our radar a little while back but went astray in the great laptop hissy fit whereupon a sizeable amassing of sound clips went west. Now thankfully tripped across and rescued, this is Lullabier with the ridiculously adorable ‘Natale A Ceneda (feat. Faro)’ – a track taken from an EP’s worthy of cosy toed yuletide tingliness whose sparsely radiant peppering of snowy floral posies had us much of a mind to go rummaging out our prized stash of platters by the much missed Le Mans. That said equally tugging on the heart strings is the fragile and frail acoustic rub of ‘White Dizziness’ a wonderfully hymnal hued honey softly yearned in sleepy headed snow shimmerings. Mind you nothing quite hits the spot than ‘With A Star’ the Brian John Mitchell remix no less, who last time we checked was the head honcho of Silber records – who should hopefully be making several appearances here before the year end, this one demurringly dizzied in the image of Cheval Sombre. (The Sunday Experience)

Lullabier taps into a celebratory spirit on the soothing “2512”. Rather tender in tone, the songs unfurl with a gracefulness. Classical, chamber pop, and folk come together into a satisfying whole. Embracing space, the way these pieces seem to float on into the air feels so majestic. Vocals drift off as if in a fantastic dream. Melodies have a great richness to them, while at times flirting with nearly a drone-like ode. By choosing such a wide variety of styles, Lullabier ensures that the whole collection feels fully realized and emotionally moving. Things start off on a graceful note with the stylish soothing tones of “Natale a Ceneda (feat. Faro)”. Featuring a full choir, the entire track positively sparkles with joy. Guitar and piano intersect in such a gorgeous fashion. Little details go a long way, from the little flourishes of melody to the quiet rhythm. Multifaceted with its approach “Natale a Serravalle” celebrates togetherness with acoustic guitars drifting up into the air. Intimacy gives “White Dizziness (acoustic)” a lovely hue. Quite patiently Lullabier go for a meditative emotional approach, as the song unfurls with a degree of timelessness. Voices come together to become a great tapestry of sound. By far the highlight of the collection “With a star (Brian John Mitchell Remix)” feels akin to a sonic blanket, with the many layers working to deliver something that feels so reassuring. Ending the collection “With a star (Brian John Mitchell Remix)” feels the just right level of sleepiness. With “2512” Lullabier go for an intimate style, one that feels so warm and inviting. (Beach Sloth)

Quand mon artiste de slowcore italien préféré (mais non il n'y en a pas qu'un !) sort un EP de chants de Noël retravaillés dans sa langue d'origine, forcément je suis fortement intéressé. D'autant que si je ne suis pas forcément un grand amateur de tout ce qui touche aux fêtes de fin d'année, j'apprécie en revanche toutes les compositions originales ou interprétations décalées qu'elles peuvent faire naître chez les artistes "indés". Or il n'y a pas de ça ici, Lullabier restant extrêmement fidèle à l'esprit de Noël, tout en se réappropriant musicalement le truc. Bref, c'est beau, c'est relaxant mais ça reste difficile à écouter à un autre moment qu'en décembre...(Dans Le Mur Du Son)

"Nylon" reviews

Particolare interessante come Vittorio Veneto sia un luogo speciale per la musica: gruppi ed etichette di quella città hanno sempre qualcosa da dire e sempre su temi che mi trovano interessato, non credo che sia un caso. Se aggiungo poi che per motivi extra musicali è un posto che frequento, che mi piace la glera e anche il montasio… dovrei chiedere la residenza! Scopro solo oggi Andrea Vascellari (parente di Nico? non importa, attivo anche come Lullabier) e il suo progetto ambient drone Firetail: l’uscita digitale è davvero concisa, con tre brani per nemmeno un quarto d’ora di sola chitarra acustica ed effetti ma vale la pena non lasciarla da parte, soprattutto se siete come me fan dell’ambient tranquilla e malinconica. Tra tutti i riferimenti possibili quello di Nathan Amundson/Rivulets (uscito anche su Silentes, sempre di Vittorio Veneto) è il più vicino e non è un nome da poco: melodie dolci ed echi vi culleranno per quei pochi minuti e dopo vi ritroverete come alla fine di un breve sogno ad occhi aperti da pomeriggio di fine estate. (Sodapop)

Firetail goes for a subtle style with the subdued “Nylon”. By opting for such a delicate touch, the pieces resonate much more strongly. Over the course of the journey everything feels so soothing and so familiar. Every piece builds off the last, resulting in an unspoken narrative. By taking on a hushed awe, the pieces have a meditative quality to them. Volume works wonders in revealing the many charms, the gorgeous twists and turns that Firetail embarks upon. Gentle to its very core, Firetail’s restraint results in an interesting intersection of shoegaze meets drone, post-rock meets classical. Multifaceted, Firetail presents a soothing sort of realm one that feels vibrant. Pastoral imagery flashes across the tactile work of “June Bugs” which opens the collection up with an understated gracefulness. Coming into bloom with such care the entirety of the piece works wonders, delving into a mysticism of sorts. On “Own Temple” the song burrows into the psyche, as various guitar feedback gathers greater levels of intensity. Usage of layers further ensures that the evolution of the track becomes outright impossible to fully pin down. By far the highlight of the collection comes at its conclusion, the intricate ornate “Rose Keeper”. Aptly named, the song possesses a tremendous amount of color. Embracing a hypnotic sort of looping everything simply revolves around the deeply felt heart of the piece, the tender tones. With “Nylon” Firetail effortlessly merges ambient, rock, and drone into a satisfying reassuring whole. (Beach sloth)

After a three year wait, Italian artist/producer Firetail, aka Andrea Vascellari, has returned, with a new EP, Nylon. The three tracks are an original take on ambient music, having been performed entirely in one take and utilizing only a classical guitar. Eschewing the normal banks of synths, Vascellari creates a mesmerizing soundscape of varied sonic vibes. Lush and pleasing, he takes the classical guitar into otherworldly textures and soothing melodic structures, that at times suggest violin and cello. An altogether imaginative and welcome experience. (Floorshime zipper boots)

Firetail is the endeavor of Andrea Vascellari, who recorded this 14-minute EP in one take earlier this month. Aptly titled, Nylon features just classical guitar, albeit heavily processed. The result is a set of three short drones. The source material for each can be discerned with careful listening – vibrating, rattling, and scraping of strings. But from there Vascellari uses delays to overlap tones into rolling waves of sound that ebb and flow. While minimalist in nature, Nylon encompasses both pastoral and mildly harsh moments. Vascellari is at his best when unleashes rapidly morphing walls of noise that demand the listener’s attention. Still, Nylon can be enjoyed on many levels, and the detail therein will reward those who are looking for immersive or observational musical experiences. (Avant music news)

Recensioni di "Lost In Translation"

Nella sua consapevole e fortemente voluta marginalità, stabilire se sia vocazione o condanna è lasciato alla personale interpretazione di ognuno, Andrea Vascellari non ha avuto difficoltà nel trovare sodali per "Lost in Translation", in cui ha chiesto a titolari di sigle come, tra le altre, Lycia, Rivulets, Zelienople, Tram, Dakota Suite, Coastal di tradurre in inglese i testi originali di alcune delle canzoni già pubblicate come Lullabier, riarrangiate per sola chitarra acustica, sfondo ambientale e linee vocali sottolineate, perpetuando quella decisa virata in direzione slowcore sancita dal precedente "Osservazione rilassamento e assenza di giudizio" e a cui vengono più marcatamente ricondotti anche brani apparsi in "Fitoterapia". Nella mai discussa coerenza dell'insieme, spiccano in una sequenza di semplice, forse elementare, bellezza, Escape, Icarus, Twilight, a scivolare in un profilo folk di una nitida malinconia che si sublima nella totale, disillusa, desolazione di Gleam, ma non si rifiuta qualche apertura a scenari per inquietudine miti, esemplari Snow, Animals, forse anche la rassegnazione di Desire. Per chi non può prescindere dal supporto fisico, fosse pure CDR, sono un'assurdità, data la qualità del disco, le appena 26 copie disponibili, bel dono per gli altri il gratuito download da Andrea elargito. (Blow Up)

Slowcore è termine che ben descrive l'andare sonoro di Andrea Vascellari, un musicista che sa giungere al centro dell'anima e lentamente riesce a risalire portando con sé la poesia che lì giaceva intatta. Dopo un anno di silenzio Lullabier torna a recitare i suoi intimi racconti incastonati di silenzio, accordi di chitarra e droni e lo fa a più voci, utilizzando i testi tradotti in inglese delle sue canzoni. Traduzioni eseguite da suoi simili, appartenenti a quel mondo acustico che sa diluirsi lungo i percorsi dolcemente solitari del songwriting: Tara Vanflower, Mark Rolfe, Brian John Mitchell, Nathan Amundson, Brian Przybylski, Matt Christensen, Paul Anderson, Chris Hooson e Jason T. Gough. Lullabier ne ha scelti nove, tra i suoi preferiti, e li ha invitati a proseguire e tradurre un percorso di intimità non solo sonora, aggiungendo così sfumature diverse ad un racconto sospeso tra il sogno e la poetica legata ad una modalità romantica che profuma di nebbia e fitta boscaglia. Rising for the moon. (Rockerilla)

È decisamente un punto d'arrivo, questo "Lost in Translation", per Andrea Vascellari, "il" cantautore slowcore italiano per eccellenza, abbastanza solo da noi nel suo genere per dover trovare conforto all'estero: per questo disco, si è avvalso della collaborazione di una lista piuttosto impressionante di personaggi (Mark Rolfe dei Lorna, Tara Vanflower dei Lycia ecc.), che hanno tradotto per lui i testi di canzoni edite, ma riarrangiate seguendo il gusto degli esordi del progetto Lullabier: acustica e field recording.
Il risultato è gradevolmente terapeutico, con quel pizzico di distacco dai testi, dato dalla lingua straniera, che rende più facile l'ascolto, soprattutto dato lo stile "ascetico", ultra-minimalista di Andrea, che in lingua nativa può risultare respingente.
Dal punto di vista strettamente musicale, gli arrangiamenti ai minimi termini richiamano placidi moti ondosi e lontani echi di tempesta, alla maniera dei Kings Of Convenience più introversi, o dell'ultimo Matt Elliott.
Si tratta, insomma, di un punto d'arrivo, ma anche di partenza, per Andrea, davvero ispirato nell'interpretazione del suo repertorio, per come azzecca i piccoli accorgimenti con cui sottolinea i passaggi dei suoi brani (l'uso della voce in "Bonds", il suono "sitaristico", liturgico della chitarra in "Fire" e "Desire", e così via). (OndaRock)

Nella penombra a lui più congeniale e in maniera del tutto eccentrica rispetto alla “scena” (?) indipendente nazionale, Andrea Vascellari coltiva ormai da qualche anno con Lullabier l’ambizioso obiettivo di realizzare una credibile proposta slow-core cantata in italiano. Ne ha dato prova nel suo ciclo di album (il più recente “Osservazione rilassamento e assenza di giudizio” risale al 2014), che anche grazie ai suoi contatti, da puro estimatore del genere, con alcuni dei suoi principali interpreti internazionali, ha avuto modo di essere conosciuto e apprezzato all’estero sicuramente più di quanto non lo sia stato in patria.
Da tutto ciò nasce l’idea, in qualche misura uguale e contraria, sottostante a “Lost In Translation”, raccolta di brani già dello stesso Vascellari, affidati all’interpretazione e, appunto, alla letterale traduzione, da parte di nove artisti stranieri. È stato un po’ come restituire alla sua originaria dimensione comunicativa un linguaggio musicale invece non senza fatica piegato alla lingua italiana.
E anche se non tutte le versioni sono perfettamente fedeli (pare che qualcuno dei partecipanti si sia limitato a usare una traduzione automatica!), il delicato intimismo dei brani di Lullabier rivive in una varietà di forme diverse grazie a una schiera di artisti di grande valore, che spazia da Tara Vanflower dei Lycia a Jason Gough dei Coastal, passando per Nathan Amundson, Chris Hooson, Matt Christensen e altri ancora. Ciascuno aggiunge la propria sensibilità a brani che vivono di vita nuova, pur continuando a brillare del tocco lieve dell’artista italiano; così, ciascuna canzone potrebbe ben essere scambiata per un originale dei vari Lorna, Dakota Suite, Rivulets, etc., dalla dimessa introspezione di Hooson all’aggraziata fluidità pop di Mark Rolfe, dalle fragili linee acustiche di Hooson ai torpori crepuscolari di Matt Christensen.
Benché l’operazione sottostante a “Lost In Translation” fosse, in fondo, non meno difficile di quella condotta da Vascellari nella sua lingua natale, la riuscita è sorprendentemente piacevole, un regalo (nel formato digitale) da parte di un appassionato del genere ad altri appassionati che sapranno senz’altro apprezzarlo. (Music Won't Save You)

Oi Amici! Eccoci tornare a segnalare con decisa vocazione difficile un disco che apparentemente, così ad un primo ascolto pare pure facile. Non sarebbe, però, corretto liquidare come “semplice” il nuovo lavoro di Lullabier.
L’artista di Vittorio Veneto (estremo nord-est della provincia di Treviso) ha chiesto a 9 musicisti stranieri di tradurre 9 pezzi già precedentemente editi in italiano dallo stesso slowcorer veneto. Il risultato è una raccolta di pezzi riscritti e riarrangiati in maniera minimale e minimalista: voce, chitarra acustiche, elettronica.
La musica, così vicina a Low e altre band slowcore, è intensa e densa nonostante i pochi suoni utilizzati ed è, infine, sicuramente difficile per i pochi riferimenti lasciati a chi ascolta oltre alle poche parole e ancor meno note che tratteggiano i paesaggi sonori di Lullabier. (Musica Difficile Italiana)

Proving that slowcore is alive and well, Lullabier’s “Lost In Translation” is a powerful, moving album. Reminiscent of similar slowcore bands like Low and a kinder version of Codeine, the exploratory sensibility of the group keep things quite engaging. Crisp, folk-infused arrangements flow throughout the album. Throughout the album Lullabier lets elements of folk, rock, and dream pop comes together to develop into a serene swirl of sound. Lyrics have a poetic quality to them as they seemingly evaporate into the air. 
A blissful organ opens the album off on a note of grandeur with “Escape”. From there a spry and simple yet effective beat take hold. Rather touching in its temperament is the reflective work of “Icarus”. The deliberate pacing of “Bonds” makes it one of the album highlights. With a gorgeous chorus the song has a peaceful meditative quality to it. Nimble guitar work adds to the tactile, emotional impact of the sound. Languid rhythms reveal themselves on the sleepy style of “Snow”. Easily the highlight of the album “Snow” has a warm inviting presence to it. Rather loose and free is the spirited performance of “Desire”. Tender in tone is the gentle “Gleam” another highlight of the album. Ending the album off on a playful note is the celebratory “Animals” whose tribal rhythm works wonders. Nearly psychedelic in hue the song possesses a true sense of comfort. 
Tasteful, timeless, and elegant, Lullabier’s “Lost In Translation” is a satisfying, lovely piece of work. (Beach Sloth)

FZB favorite Lullabier is back with Lost In Translation, his new album of songs reimagined. The album features nine tracks from previous releases translated to English and rerecorded with only vocals, acoustic guitar and an ambient accompaniment. Starkly beautiful, engaging and intimate, this is our favorite thing that Lullabier has done. A masterpiece that is a must have. Stream and download Lost In Translation at the link below. (Floorshime Zipper Boots)

C'est le grand retour de l'italien Lullabier avec Lost In Translation où il ré-orchestre et reprend en englais neuf de ses chansons traduites par des amis musiciens et qui est disponible en "name your price" sur Bandcamp où l'on peut aussi acheter la version CD. Indispendable! (Dans Le Mur Du Son)

Lullabier ist eine aus italien stammende folk, alternative band, die von andrea vascellari gegründet wurde. er selbst beschreibt seine musikrichtung als slowcore, drone-folk, ethereal pop.
auf ihrer bandcamp-seite gibt es das album als free-download bzw. als "buy now name your price", tippt einfach 0 ein wenn ihr auf "buy now name your price" klickt. (Don Quichote)

"So Far" reviews

With each gentle ring of the guitar Firetail’s “So Far” ascends to the heavens. Nothing on “So Far” moves quickly. Adhering to a slowcore/drone aesthetic the songs gain their impact through sheer power. The expertly arranged songs are canvases painting austere landscapes. Restrained to its very core by using a select amount of textures Firetail uses the minimal approach to maximal effect. For these are songs that are quietly emotional with their impact exploring elements of decay, with every gesture slowing dying away to reveal a deep autumnal beauty. Somber in tone is the glacial pacing of “End=Beginning”. Reminiscent of Stars of the Lid’s early rock-orientated work the song shines with regal beauty. “Floating Around” hovers about with great physical power. Oddly mournful is the saddened hues of “Calculator” with a careful sound that seems to be exploring empty bleak terrain. Nearly silent is the very quiet restrained work of “Ajax”. Merging elements of the world and of Firetail’s epic drone is the lively work of “Narcolepsy”. By far the highlight of the album is the tender work of “The Forest Album By Alan Sparhawk” whose down to earth twang does wonders. Closing things off on a tremendous note is the playfully titled baroque work of “Little Droner Boy”. On “So Far” Firetail takes his time and it is well worth the wait. Vibrating with life and passion, these are pieces that wrap themselves around the listener giving them an entirely new world to explore. (Beach sloth)

Dall'intimità silenziosa di un progetto slowcore di grande impatto alla costruzione di immense cattedrali droniche. Da Lullabier a Firetail lungo un percorso che vede Andrea Vascellari cambiare pelle e inaugurare una nuova casa discografica, la VeniVersus. La sua costante attività compositiva viene racchiusa in questa raccolta definitiva comprendente tutto il materiale stampato dal musicista trevigiano dall'inizio della carriera ed è una gioia per i sensi. Una sorta di eterea sinfonia avvolta lungo infiniti accordi di chitarra trattati con l'uso di un processore in grado di dilatare l'istante del piacere trasformandolo in sette movimenti di pura spazialità dronica. Game of drones. (Rockerilla)

Andrea Vascellari ammette che la sua militanza, come Lullabier, nel roster di Oltrelanebbiailmare, sublabel della Silentes, lo ha evidentemente incoraggiato ad esplorare lidi ambientali affini al bel catalogo dell'etichetta veneta. "So Far" dona fisico formato, sia pur CDR, a tre immateriali EP tra il 2013 e il 2014, due tra l'altro realizzati per la prestigiosa Silber, con il bonus della più ispida Narcolepsy. La quiete di End=Beginning, dalle presumibili implicazioni mistiche, in Floating around si spinge oltre fino all'impalpabile, Calculator più che altrove irrobustisce la percezione di una chiara discendenza Eno, l'ascendente drone music di Ajax con una discreta presenza della chitarra rimembra Yellow6, con Little droner boy, sedici minuti tra voci nella distanza, blanda oscurità e rullate marziali, che è tra i momenti più suggestivi e la partecipazione al sampler "QRD - the guitarists" con The forest album by Alan Sparhawk che è la più vicina alle abitudini slowcore di Vascellari. (Blow Up)

Essentially the one-man-band project of Italian musician Andrea Vascellari, Firetail clearly follows a “less is more” theory of composition. A fine showcase for Vascellari’s production abilities, the group’s music is very minimalistic in nature and generally fits in well with what I might expect from the ambient music genre. 2015 compilation So Far assembles everything that Vascellari has done under the Firetail moniker (he also performs under the name of Lullabier), much of which has a noticeable post-rock quality since it plays similarly to what one hears in the background of tracks from groups like Godspeed You! Black Emperor. This album won’t appeal to mainstream tastes, but it’s very solid for what it is – a fact that probably shouldn’t have shocked me since it was Firetail who produced one of 2014’s better Christmas-themed Silber Records albums. The by-and-large soothing So Far compilation begins with “End=Beginning,” a piece built around a pulse of yearning melody played on a twangy guitar. The pleasantly lazy strumming gurgles out of and fades away into a humming background, occasionally interrupted by a heavily echoed horn. Aptly-titled and airy followup “Floating Around” is propelled by a swirling undercurrent that almost suggests drifting along on a slowly ebbing and flowing sea. Despite again having an aching feel to its melodic elements, this second piece is very peaceful and serene before it gives way to the noticeably louder and comparably more substantial “Calculator.” To me, this third track sounds less obviously earthy than the opening pair and is perhaps more in line with the nearly mystical ambient sections found in so-called “epic rock.” Bellowing out over groaning lower tones, the melody here actually builds to something at certain times instead of just sounding nice, making this piece feel more purposeful than what was heard previously on the album. Slightly more solemn with brief bits of guitar thrown in to add subtle accents to the droning main melody, the lackadaisical “Ajax” is agreeable enough as relaxing background tone even if nothing much happens during its ten minute running time. Meanwhile, “Narcolepsy” is the only track on the compilation that was previously unreleased and (perhaps unsurprisingly, given the title) the only one that’s genuinely unsettling to listen to. Abruptly stopping and starting throughout, the piece contains a unnerving mixture of found sound (car alarms, distant children playing, cawing birds) and shrill, grinding and whirring industrial-like noise, effectively capturing the semi-conscious state that would exist in people with the titular medical condition. Despite unleashing a sense of quiet despair, it finishes with an almost hopeful conclusion which ensures it fits in context with the rest of the album. Penultimate number “The Forest Album by Alan Sparhawk,” with its layers of echoed, gentle guitar, is more clearly musical than most everything else here and the album concludes with the experimental sound art of “Little Droner Boy”. As might be obvious, Firetail’s work possesses minimal value for those who thrive on the active listening experiences that popular music provides. Even to those more familiar with minimalist composition and experimental sounds, So Far might be a love it or hate it affair. Few of the tracks here seem to really go anywhere; they more seek to create a specific atmosphere for the listener to soak up and bask in, eventually ending without much fanfare. Perhaps the best thing I could say about this work then is that it’s quite somnolent, and although that might sound condescending, it’s actually meant as a compliment. The precise way in which this completely inoffensive and frequently meditative material is constructed makes the whole of the album very dreamlike and surreal, even if I don’t think I could quite put it on the same level as something like Popul Vuh. Regardless, I found myself enjoying So Far and I suspect open-minded listeners would, at the very least, not mind listening to it. (Bandjack)

Tale è l’impegno riposto da Andrea Vascellari nel suo recente progetto ambientale che l’artista altresì attivo nel peculiare progetto cantautorale Lullabier ha deciso di costruirvi attorno una nuova piccola etichetta, la prima pubblicazione della quale coincide non a caso con una raccolta organica di tutto quanto finora realizzato a nome Firetail. La tracklist di “So Far” è infatti costituita dalla sommatoria dei tre Ep pubblicati nel corso dell’ultimo anno e mezzo, ai quali è affiancato un breve inedito e un altro brano pubblicato nella raccolta “QRD – The Guitarists”. Quel che ne risulta offre un esaustivo spaccato dello stato della ricerca di Vascellari sulle modulazioni della sua chitarra, dalla quale stillano morbidi riverberi e sature persistenze droniche. L’ora di durata della raccolta spazia così dai tiepidi vapori dei due primi Ep ( “Learning To Cheat”, e “Learning To Waltz”, ai quali si rimanda per esteso) alle spettrali risonanze di “Little Droner Boy”, che insieme all’inedito “Narcolepsy” e a “The Forest Album By Alan Sparhawk” disegnano soundscape di pronunciata densità, che lasciano intravedere come Vascellari stia indirizzando la propria esplorazione ambient-drone verso una consistenza sempre più astratta, che tuttavia non abbandona l’immaginifica dimensione descrittiva creata al suo modo di trattare le timbriche chitarristiche. (Music won't save you)

Produzione ambient italiana e, come spesso succede con le release nel Belpaese, quel pizzico di personalità rende il lavoro desiderabile, anche se l’apparato sonoro non ha la carica negativa, l’impatto scenico, dell’ambient scandinavo e questo, in questo frangente, è frutto del background di Firetail, all’anagrafe Andrea Vascellari. Ora solo, il musicista proviene dalle narcosi strumentali dei Lullabier, band slow-core che proprio in Low, Codeine ed altri ha ispirato il downtempo necessario alle distensioni della propria musica, così Andrea porta in se, in Firetail, quel brumoso distendere d’arti che ha il potere di divenire marea in crescita, luna in crescita, sogno in divenire: tutto il sound di “So Far”, antologia di una carriera che vede il primo brano esposto e composto nel 2013 (la release fu “Silber”) e da quella release alla successiva “Trembl”, nasce la stesura, la raccolta delle sette tracce del file rilasciato da VeniVersus, speculo nel silenzio o nei testi non italici della ViVeriVive, label che conoscemmo tempo addietro in occasione di un sampler tutto, al contrario, cantato in lingua manzoniana. Da “End = Beginning” all’outro “Little Droner Boy”, il tempo rallentato diviene frame d’autunno, di solitudine, di compostezza armonica, consapevolezza di lancette che proseguono il loro cammino non ascoltate, tic-tac d’orologio mal gradito ed accantonato, musica per chakra in attesa, sospensioni nemmeno troppo cromatiche, piuttosto percettive. Slow-core dell’esistere più che del concepire, questo è il messaggio (che io capto, che voi non so quale capterete, ma l’invito è di andare oltre il suono) che Firetail diluisce nelle lunghe (a volte nemmeno troppo in chiave ambient) suite di “So Far”. E ciò lo rende così vicino… (Sounds behind the corner)

Emisiju će zatvoriti jedan samostalni umjetnik. On se zove Andrea Vascellari, a umjetničko ime mu je Firetail. Započinje svoju muzičku karijeru projektom po nazivu Lullabier, koji je fokusiran na folk islowcore. 2015. godine odlučio je ostvariti projekat Firetail, u kojem mijenja muzički žanr. Stil Firetaila je okrenut više prema ambijentalnoj izvedbi, koji je razvodnjen u odnosu na Lullabier. Ovaj album može se predstaviti i kao zanimljiv primjer drone muzike. (Radio Sarajevo)

Firetail è il side project ambient-drone di Andrea Vascellari nel quale, lasciando da parte il folk etereo di Osservazione rilassamento e assenza di giudizio realizzato come Lullabier, dipinge suggestioni sonore che si mescolano perfettamente con la fine del temporale e il gorgheggiare dei passeri. Abbracciate la contemplativa assenza di parole di So Far e vedrete che questa mattina prenderà un gusto completamente diverso. (Breakfast jumpers)

Den Italiener Andrea Vascellari kennt man bereits durch sein Projekt LULLABIER. Aber auch mit FIRETAIL ist er schon eine Weile aktiv – und hier geht es ausschließlich um minimalistische Töne. Gitarrendrones, Experimente mit Effekten, multiple Ambientschichten – das ist die KLANGWELT, in der sich FIRETAIL bewegt, in guter Nachbarschaft zu bekannten Namen wie AARKTICA oder den großartigen STARS OF THE LID. “So Far” ist die Zusammenstellung seiner bisher veröffentlichten Singles und EPs “Learning To Cheat”, “Learning To Waltz” und “Little Droner Boy”, die auf Silber Records und Trembl erschienen sind. Mit einer limitierten Auflage handgefertigter CDrs werden damit auch die bisher rein digitalen Releases endlich auch in physischer Form gewürdigt. Der Großteil der Tracks bewegt sich in harmonischem Drone Ambient, mit einer ungemein warmen Ausstrahlung – eine leichtgewichtige Atmosphäre, die zum Träumen einlädt. Zwei Ausnahmen gibt es jedoch: Da wäre zum einen das mehr als 16-minütige Stück “Little Droner Boy”, sozusagen ein Weihnachts-Drone-Track, inspiriert vom traditionellen “Carol Of The Drum”, mit eingeflochtenen Chorsamples. Mit “Narcolepsy” begegnet uns schließlich ein bisher unveröffentlichter Track, der ungewohnt verstörende Töne anschlägt, und den harmonischen Fluß zumindest für kurze Zeit unterbricht, aber gleichzeitig auch einen interessanten Akzent setzen kann. Insgesamt eine solide, hörenswerte Angelegenheit, bei der Drone- und Ambient-Fans gern ein Ohr riskieren sollten. (Mescaline injection)

"Little droner boy" reviews

Containing a single, sixteen minute track that reduces a well-known holiday favorite to a resonant blur, Firetail’s Little Droner Boy EP is easily the most accessible of the four Silber Records' 2014 Christmas releases that I’ve heard thus far. While the previous two albums in the series (Small Life Form’s Parts for Holiday Projects and Electric Bird Noise’s Birth) would be more or less unlistenable to those raised on more mainstream types of music, Firetail’s Droner Boy (the product of musician Andrea Vascellari, better known for work done under the Lullabier name) doesn’t just have a recognizable theme as its basis, but is -gasp!- actually fairly musical. Essentially what we have here is a manipulated version of the song “The Little Drummer Boy” that, instead of revolving around a rhythmic percussion parts, centers around an omnipresent, throbbing drone that’s heard throughout the piece in the background. The early minutes of “Little Droner Boy” include snippets of angelic choir singing the main melody as well as the accented lower vocal parts originally intended to simulate the sounds of drum rolls. While none of the words of the song can be heard in Firetail’s version, it is reassuring to at least find some familiar elements to latch onto here (even if the higher voices sound like drawn-out, resonant shrieks), and the basic framework of the original song is present in some form throughout most of the track. The middle section of “Droner Boy” finds the piece moving as far away from the source material as it ever does, with tinkling chimes, groaning low voice parts, and occasional cadences of military snare drum being heard alongside what sounds like Darth Vader respiration. Ominous though the piece may be at this point, it also has an almost profound, religious sort of feel to it since all the high voice parts have been blended together to create a sort of godly haze which hangs over everything else going on. As it nears its conclusion, things begin to “normalize,” sounding more and more similar to the original tune before a gradual fadeout of almost hopeful reverberating chords. Lacking a big climactic moment of revelation, Little Droner Boy is also probably too drawn out to strike the fancy of those raised on a steady stream of more traditional holiday music. Still, Firetail’s addition to the Silber Christmas release series is entirely listenable and one of the few and perhaps the only volume of the 2014 releases that would have any (albeit limited) appeal to the general listening public. As much as some of the others in this series would be mighty sketchy for most listeners, Little Droner Boy is one that I’d be most inclined to recommend.(Bandjack)

Recensioni di "Osservazione rilassamento e assenza di giudizio"

L'esperienza di palco condivisa con i Low ha spinto con ancora più convinzione in territori slowcore Andrea Vascellari che ritorna a Lullabier dopo la vacanza drone intrapresa come Firetail. A caratterizzare come concept, similmente al precedente, apprezzato, Fitoterapia, "Osservazione rilassamento e assenza di giudizio" il riferimento alle sette ballate, impregnate di spiritualità e con cantato in italiano che non teme, vedi Animali, di confrontarsi con qualche spigolosità dei testi, ai chakra, i centri di energia del corpo umano identificati dalle dottrine indo-orientali. Archiloco, Pace, la conclusiva Invocazione, alla Red House Painters, spiccano in un lavoro sempre coerente con la sua concettualità, avara la tiratura complessiva di 84 esemplari. (Blow Up)

Ascoltare musica da tempo a volte risulta spiazzante, per quanto ci si sforzi nell'evitare la comparazione tra il nuovo e ciò che lo ha preceduto, ci si ritrova inconsciamente ad associare le cose. In questo lavoro di Andrea "Lullabier" Vascellari percepisco un cantato con echi in stile Loy&Altomare o un più recente Bianconi e una rivisitazione in termini assai più leggeri di temi assai cari a Claudio Rocchi e al suo Volo (per sempre) Magico. Un concept che ruota attorno al concetto indo-orientale legato ai Chakra e permette un viaggio lieve ma costante dentro il mondo slowcore di un compositore che semina eleganza e raccoglie ascolti attenti e mai privi di interesse. Esperienza ayurvedica. (Rockerilla)

Dopo che negli ultimi tempi ha soprattutto provveduto a sviluppare la ricerca di una sognante formula ambientale sotto la denominazione Firetail, Andrea Vascellari riprende le fila del proprio progetto principale, legato all’elaborazione di un’ambiziosa formula di slow-core cantautorale in italiano. Il quarto album di Lullabier sposta l’obiettivo simbolico dell’artista veneto dalla cura del corpo del precedente “Fitoterapia” a quella dell’anima: ciascuno dei titoli delle sette tracce di “Osservazione rilassamento e assenza di giudizio” presenta un proprio corrispettivo indiano, frutto del parallelismo con i chakra e le fasi di evoluzione umana secondo la dottrina filosofica indo-orientale. Seguendo questa linea concettuale, Vascellari declina le proprie visionarie meditazioni intorno agli elementi e alle energie psico-fisiche dell’essere umano, secondo forme plurali – talvolta anche radicalmente diverse – e comunque tutte riassunte dal comune denominatore delle sue dichiarate passioni per artisti quali Mark Kozelek, Low e Gravenhurst. Se l’iniziale “Animali (muladhara)” aleggia su un pulsante battito elettronico che può far pensare a un Jimmy LaValle in umbratile versione folktronica (ma un po’ anche ai Low di “Drums And Guns”, in parte ripreso in versione narcolettica da “Pace (anahata)”, da “Archiloco (svadhistana)” e “Icaro (manipura)” promana il serafico candore proprio appunto di un Mark Kozelek dei secondi Red House Painters, fluidamente melodico e pacificato con i propri demoni. Nella seconda parte del lavoro, il suono tende a ispessirsi e a farsi più omogeneo, al pari del registro interpretativo di Vascellari, che abbassa timbri talora enfaticamente estatici per i velluti avvolti in “Veleno (vishuddha)” circolari crescendo elettrici. Sono gli stessi elementi della successiva “Legami (ajna)” – forse il brano più compiuto del breve lotto – che nella conclusiva “Invocazione (sahasrara)” sono posti a gravitare intorno al simbolismo del numero sette, con sette alla ricerca di una divinità interiore materializzata da torsioni di feedback gradualmente avvolgenti. Soprattutto per la sua varietà e per l’acquisita consapevolezza di mezzi espressivi, “Osservazione rilassamento e assenza di giudizio” si profila quale significativo momento di sviluppo del difficile progetto di Vascellari, la cui esperienza di ricerca sonora a tutto tondo può ormai dirsi non più solo legata a un’estetica univoca e predeterminata. (Music Won't Save You)

Riecco il piccolo Alan Sparhawk italiano, che continua nel suo percorso di minimalismo disarmante, qui ammantato dichiaratamente di spiritualità indiana, con cui Andrea Vascellari connota la visione del mondo propria di questo “Osservazione Rilassamento E Assenza Di Giudizio”. Eccezion fatta per il tributo a “Snowstorm” in “Archiloco (svadhistana)”, il disco ripropone l’essenzialità dei Low di “Trust”, con gli accordi rilucenti di “Veleno (vishuddha)” a spiccare. Le riflessioni ridotte all’osso di Andrea navigano rigorosamente al minimo della concessione poetica e pericolosamente vicine al racconto asettico (“Icaro (manipura)”), anche quando quest'ultimo si fa più personale e meno blandamente universale (le riflessioni “antropomorfe” di “Veleno” e “Animali”). Il songwriting però è buono, anche se l’estetica minimalista della musica di Lullabier sembra spesso un po’ costrittiva (la lunghissima “Invocazione”). Impossibile chiedere di cambiare qualcosa, allo stesso tempo. (Ondarock)

Andrea Vascellari, aka Lullabier, torna sui propri passi e ci propone un nuovo lavoro. Si tratta di un concept album incentrato sul significato dei Chakra, tanto cari alle dottrine indo-orientali e che rappresentano i sette centri di energia distribuiti nell’anatomia del corpo umano, ma al contempo le sette fasi dell’evoluzione dell’essere umano stesso. Sono appunto sette i brani che costituiscono questo disco dal tono spirituale: “Animali (muladhara)”, “Archiloco (svadhistana)”, “Icaro (manlpura)”, “Pace (anahata)” , “Veleno (vishuddha)”, ” Legami (ajna)” e infine ” Invocazione (sahasrara)”. Titoli che racchiudono una particolare attenzione anche al mondo classico, facendo confluire oriente e occidente in un unico vaso. Il concetto attorno a cui si sviluppano, dal punto di vista musicale, è quello del mantra: una lunga ipnosi a cui viene sottoposto l’ascoltatore, che si proietta in una dimensione “altra”, benché il basamento del pilastro rimanga- ancora una volta- lo slowcore. Lullabier dimostra quindi di saper conciliare la sua passione per lo shoegaze (vedi “Invocazione (sahasrara)”, “in cui sette chitarre e sette voci s’inseguono lungo sette minuti per rappresentare il contatto con la divinità”) e il genere per cui i Low sono divenuti celeberrimi con una cultura che ci è tanto lontana, eppure così vicina, creando degli atmosferici tersi e ottimamente costruiti. Non bisogna diventare degli asceti per godersi “Osservazione Rilassamento E Assenza Di Giudizio”. Serve soltanto una mente aperta e uno spirito pronto. (LoudVision)

Goccioline di calma elettronica nel caffè macchiato di oggi con Lullabier, ottimo compromesso tra la ninnananna e il buongiorno. Mettetevi comodi e lasciate in frigo burro e marmellata per questa mattina: Animali (muladhara), prima traccia dell'ultimo album Osservazione rilassamento e assenza di giudizio, è la giusta dose di ritmo da spalmare sulle fette biscottate. (Breakfast Jumpers)

Il cantautorato elettronico è sicuramente uno dei mondi più interessanti del sottosuolo musicale Italiano. Lullabier è il progetto di Andrea Vascellari e lungo queste 7 tracce riesce a mettere in ritmo la tranquillità dell’ascoltatore in modo terapeutico. Un lavoro perfetto per chi come me (e tanti tanti tanti altri) passa le notti nella speranza di riuscire a dormire, tra i mille pensieri e gli occhi che non si chiudono mai. Rilassante, spirituale e qualitativamente ben prodotto. Complimenti. (MuroMag)

Io l’ho scoperto per caso in una puntata di Soundscapes, trasmissione in onda ogni giovedì sulla radio universitaria di Padova che è RadioBue. Lullabier è il trevigiano Andrea Vascellari, ed in questo suo ultimo progetto si incontrano tanto la sperimentazione slowcore quanto lo stile cantautorale italiano. Osservazione rilassamento e assenza di giudizio è un concept-album dedicato ai Chakra, i sette centri di energia del corpo secondo le dottrine indo-orientali: un’opera fruibile a più livelli, adatta come ninnananna per gli insonni e accompagnamento musicale alla propria ricerca spirituale. Raccomandato agli amanti di: Low, Red House Painters, Mazzy Star, Gravenhurst, Coastal, Boduf Songs, Jessica Bailiff. (Kalporz)

Lullabier is aptly named. They keep their voices soft and reassuring. Vocals are tender. Instrumentation goes for the slow and succeeds marvelously. Guitar riffs are particularly crisp allowing for the tones to be perfectly fresh. Everything works together. Such a Zen of sound is hard to achieve yet Lullabier pulls it off with the greatest of ease. Nothing stops them from keeping things quiet mellow and contemplative.
A drum machine and gentle guitar introduce “Animali (muladhara)”. Over the course of the song the repetition becomes quite hypnotic allowing for the song to simply weave itself into the mind. Lighter touches are used on the nimble “Icaro (manipura)” which opts for a cleaner more acoustic sound accompanied by an unusual rhythm. By far the album’s highlight is the ambitious “Invocazione (sahasrara)”. For this song Lullabier uses elements of Post-Rock to build the song up into a crescendo. The way this is done is subtle. Everything works from the hand claps to the painfully slow build. By taking the long way they are able to show off their greatest attribute that of patience. When the song finally ends in a haze of togetherness it feels completely earned.
On “Legami (ajna)” Lullabier take a much needed break letting the song’s incredible softness serve as a palette cleanser. The album ends with the whispered tones of “Veleno (vishuddha)” which brings the album to a slow conclusion. Overall the collection serves as a reminder of how slow can be better. (Beach Sloth)

This is a great release; I have no clue why they are saying, but it sounds awesome. (IfItBeYourWill)

"Learning to waltz" reviews

Firetail creates an environment of ultimate wonder and deep reassurance. Drone has rarely sounded so soulful. Allowing the textures to gain melodic elements helps them to become deeper than their celestial pining would suggest. Pieces float up into the sky. With a usage of Post Rock’s quieter impulses Firetail’s efforts to merge the tender and gigantic are an overwhelming success. Opening in medias res is “Calculator”. The guitar’s work is immediate. Subtle textures of static weave in and out of the mix. Gradually the guitar descends allowing for the deep registers to give the sound a fullness that appear inescapable. Calm rules over the piece and tends to relax as the piece progress without interruption. Rather the gentle ease lets everything gain greater perspective. After all of this activity of the constant growing is the lone sound of the closer “Ajax”. With a much softer soft “Ajax” manages to conjure up images of fantastically empty spaces. Evolution of the sound allows the guitar to nestle between the lingering notes of its past. Firetail plays with an extreme delicacy that results in a smooth sound that comes in waves. Deliberate details twang out reminding the listener of the actual smaller size. For the last few moments of “Ajax” the guitar descends back to the Earth. Small strums remind the listener this is merely a single guitar coming out of the drone ready to recollect itself. Learning to Waltz is an incredibly moving performance. (Beach sloth)

Per Andrea Vascellari, Firetail non è dunque un’estemporanea divagazione dalle riflessive trame di slow-core cantautorale di Lullabier: alle due tracce pubblicate lo scorso anno sotto il titolo “Learning To Cheat” seguono le altre due di circa dieci minuti di durata ciascuna di “Learning To Waltz”, pubblicate in formato digitale dalla canadese Trembl nella sua serie che unisce musica ambient e fotografia. Entrambi i brani sono infatti dotati di spiccati contenuti immaginifico-descrittivi, che li rendono perfetto complemento di immagini statiche o in lento movimento. Quelli di Firetail appaiono infatti lunghi piani sequenza prodotti da un’equilibrata interazione di aperture ambientali e iterazioni di frequenze modulate, che in “Calculator” si sviluppa come una spessa marea di riverberi concatenati, i cui contorni sottilmente distorti vengono smussati in maniera graduale come una scultura sonora che vede la luce attraverso successive sottrazioni di materiale o, meglio, di timbri. La seconda traccia “Ajax” naviga invece su flutti ambientali più piani ma anche più oscuri che, al contrario, montano lentamente in una marea evanescente, a metà del corso della quale compaiono un paio di prolungati riverberi la cui persistenza svapora in tepori nebbiosi la densa grana dronica della texture di base. Dallo spaccato offerto da “Learning To Waltz”, tanto più se posto in relazione con il lavoro dello scorso anno, emerge dunque la capacità di Vascellari di creare atmosfere ambientali palpitanti secondo una tecnica compositiva non stereotipata, che all’artista veneto sembra dischiudere una dimensione particolarmente congeniale. A questo punto, non resta che l’auspicio di ascoltarlo quanto prima impegnato, anche in questo formato, in un lavoro più lungo e organico. (Music won't save you)

"Learning to cheat" reviews

Firetail’s ‘Learning to Cheat’ is an ambient record of absolute hope. Whatever the sound appears to go it remains incurably optimistic. The aural colors of these two songs are so bright it is simply amazing. Experimentation with format, taking a calmer route (for the first track) or a more aggressive approach (for the second track) makes for a unified whole. Both parts work together to complement the other. Put together the result is something to be wondered about in awe. ‘End = Beginning’ takes the mellower approach out of the two tracks. The sound is Post-Rock without the crescendo. Lingering tones make themselves more powerful without the typical release that most ambient rock outfits aim for. Firetail is confident in their ability to display wonder without the need to increase the volume or intensity. On the finale of ‘Floating Around’ Firetail uses a different approach to achieve the same means. Here the Post-Rock leanings receive large dollops of distortion. Reminiscent of shoegaze the sound is particularly blurry. In spite of the initial lack of definition the melody comes together into a particularly satisfying whole. Ambient rock rarely sounds as it does on ‘Learning to Cheat’. Firetail creates a true gem of an EP with these two songs. By cutting out any trace of fat the result is sound that hits straight for the heart. This is an emotional release that feels every single tone to the fullest. ‘Learning to Cheat’ commands respect without saying a word. (Beach sloth)

In fondo non è infrequente che tra uggiose narcolessie cantautorali e malinconici paesaggi ambientali sussista una comune empatia, quando non anche di sonorità. Eppure, non manca di destare una certa sorpresa vedere un artista transitare con nonchalance dall'uno all'altro ambito, in questo caso abbandonando momentaneamente l’ambizioso progetto slow-core minimale Lullabier per dedicarsi a brevi derive ambientali, semplicemente disegnate da riverberi di basso e chitarra. Tali sono le premesse sottostanti Firetail, afasica incarnazione di Andrea Vascellari che, deposto il pathos di scarne note acustiche e testi cantati quasi sottovoce, si lancia in un quarto d’ora di caldi flussi ambientali. “Learning To Cheat” è infatti un breve singolo digitale, ripartito in due tracce di durata quasi eguale: la prima, “End = Beginning”, segue un placido crescendo di suggestioni vaporose, che omaggiano gli Hammock o il Jon DeRosa del primo periodo di Aarktica, mentre la seconda, “Floating Around”, presenta una grana sonora più concreta, brulicante di stille moderatamente rumoriste ma pur sempre aperta a una coinvolgente epica emozionale. Benché l’operazione non sia, appunto, inedita, le prime due tracce firmate Firetail rivelano in maniera piacevole un’altra faccia, non meno apprezzabile, di un artista che finora si era fatto conoscere in una veste almeno superficialmente diversa. (Music won't save you)

Firetail is the one man project of Andrea Vascellari, who is being more known with regard to slowcore project Lullabier that has shared the stage with the likes of Rivulets, Low, Jessica Bailiff, and Boduf Songs. With Firetail he abandons a subdued, austere singer-songwriter concept, instead of it proceeding more extended sonic terrains and still life-induced progressions. Indeed, this 2-track issue is an outstanding one due to the organic bond of glacial-alike gloss, epic guitar overdrives and moody hiss washes and slow burning. The listener can feel himself/herself like standing alone on the shore at a remote distance of the civilization. Superb. (Recent Music Heroes)

Italian project FIRETAIL is the creative vehicle of Andrea Vascellari, which he use for crafting music rather different to what he otherwise does as Lullabier. “Learning to Cheat” is the debut EP by this project, and was released as a free download by US label Silber Records in 2013. For connoisseurs of good sound, the artist does sell higher quality versions of this EP on Bandcamp. The free version on Silber Records are limited to mp3′s of 128 Kb quality. The two tracks on this EP, one a bit less and one a bit more than 8 minutes long, are both of a fairly similar nature. Ambient, cinematic creations that invites to associations with the sea. End = Beginning builds and ends slowly, and contains a dark drone or resonance with smooth, gentle textured guitar and reverb constructions wash in lakes wave on the shore, with occasional surges soaring upwards. A pleasant and inviting construction, easy on the ears and mind both. Concluding construction Floating Around sports a sampled undercurrent of waves washing on to the shore, with slow surges of guitar and reverb constructions slowly washing in and disrupting into a jittery drone like sound that slowly fades out, creating a soundscape of fairly constant surges and a jittery dronelike texture all present in a delicate, careful manner. A pleasant and soothing creation that should attract the attention of fans of ambient music in general I guess, and one that arguably will have it’s key audience among fans of ambient post rock. (House of prog)

Recensioni di Fitoterapia

Se la canzone d'autore volesse spingersi alle soglie del taumaturgico penserebbe a Lullabier. Se
 il suono delle corde riverberate si librasse nell'infinito dell'aere celeste vibrerebbe tra le dita di Lullabier. Se la melodia incontrasse il soffio di Lullabier al garrir delle fronde del bosco sarebbe la voce che canta la luce di Fitoterapia. Il fremito dell'iridescenza interiore che lenisce i morsi della solitudine qui veste malie d'opale che irradiano traiettorie di armonie dolcemente ripiegate su se stesse, che incarnano il respiro del crooner rapito e cullano sogni di mondi inviolati. Eppure la magia di Lullabier (nom de plume di Andrea Vascellari) non sa dissimulare il suo tormento, il brivido che ne incrosta il canto, e il perduto lirismo. (Rockerilla)

Attraverso la metafora dell'uomo che abbandona il mondo, quello che ora appare l'unico possibile, per ritirarsi in una foresta e scoprire, troppo tardi sottolinea, che è la stessa natura umana a tendere alla socializzazione, si narra della solitudine e della chiusura in se stessi, evidentemente, per quanto premesso, non elevati a salvifica scelta in un percorso che da Fuga si chiude con il nulla ambientale della porzione finale di Fuoco, rasserenamento o rassegnazione che sia, anticipata da Vuoto, ispirata a Wie Sind Die Tage di Hesse, che ben si adatta al tema, con una appena rielaborata traduzione che facilita il passaggio narrativo alla sopraggiunta presa di coscienza nei termini di "le chiare stelle mi guardano avvilite da quando nel cuore so che tutto muore / solo il vuoto intorno, solo il vuoto gelido". Fitoterapia scorre limpido nel solco di un intimismo consapevole e scevro da parossismi solipsistici, con incedere compassato su tracce slowcore, ma anche con episodi dalle forti definizioni melodiche come Caduta e Stagioni che si alternano alle contemplative stasi di Verde, acceso tra cinguettii di benvenuto tra gli alberi, e della misticheggiante Luce. (Blow Up)

C'è anche una vera foglia d'albero nell'agreste confezione che ospita Fitoterapia (Oltrelanebbiailmare) di Lullabier, progetto di Andrea Vascellari che associa una delicata e malinconica vena folk ad una sotterranea sensibilità drone-ambient. Come un Claudio Rocchi dei nostri giorni, il songwriter ci parla della fuga esistenziale di un uomo che si ritira a vivere nei boschi, in un breve concept che incanta per la schietta poesia, l'umanità del respiro melodico, la semplicità della scrittura slowcore. (Rumore)

Un disco senza violenza.
 Carico di nostalgie, malinconia e riflessione. Di sfumature.
È la testimonianza di una fuga, della ricerca di una cura, dalla nostra civiltà, dalla nostra società dai ritmi belligeranti; una ricerca "romantica" nel suo senso più letterario, imbevuta di una specie di primitivismo, di visione idilliaca della foresta, che vede la natura come mezzo per spurgare fluidi negativi, corrotti.
“Fitoterapia” è una trama sottile, capace di far trasparire leggeri bagliori e riflessi bianco scuri. Traspare una forte coesione che lega ogni parola, ogni nota o campione, come in una lunga suite ambient intrecciata d’innesti folk acustici e field recording, che segue la sua evoluzione lentamente, in un flusso emotivo - mentale ininterrotto. 
Di passaggio in passaggio, silenzi e ritmi dilatati scandiscono il passaggio dalla caduta spirituale al risveglio. Un percorso che non soffre di astrazione intellettuale, ma di una sincera, umile, semplicità, capace di rendere dense melodie al limite dell’onirico, sorrette da fruscii di discorso.
La voce di Lullabier si muove discorsiva, ma talvolta segreta.
In un soliloquio aperto a pochi intimi, sorretto da poche note di chitarra, si susseguono le narrazioni di una vicenda racchiusa in un’individualità meditata e ricca di coscienza.

Nonostante alcune inutili, e forse retoriche, reiterazioni di campionamenti o di arpeggi chitarristici, “Fitoterapia” riesce a disegnare una storia sotteranemente tortuosa: una storia d'

amore per la solitudine, descritta sottovoce, e con pacata lentezza, interrotta dal ritorno all'umanità, necessario e prevedibile.
Un percorso inquieto di chiusura in sé stessi, che non soffre di inutile egotismo e sanguina di cruda riflessione. (OndaRock)

Obiettivo ambizioso, quello di Andrea Vascellari, alias Lullabier: elaborare una propria formula di evanescente slow-core acustico cantautorale utilizzando orgogliosamente la lingua italiana. L’operazione – unica nel suo genere, per quanto di conoscenza di chi scrive – giunge con “Fitoterapia” alla terza tappa nel formato album, interpretato da Vascellari nella concisione di poco più di mezz'ora per sette brani.
Asciutte come la durata delle canzoni sono anche le soluzioni sonore proposte, incentrate su arpeggi al rallentatore e occasionali gemiti di slide, contornati da esili riverberi e vaporosi field recordings, che rivelano le recenti frequentazioni ambientali dell’artista veneto.
Come da canovaccio del genere dedicato ai temi della solitudine, attraverso metafore quali il bosco, la caduta e il ciclo delle stagioni, “Fitoterapia” descrive un percorso introspettivo e umbratile, ma non per questo può dirsi improntato a una cupa negatività.
Lo dimostrano alcune sfumature dei testi che, al di là di qualche cedimento retorico, lasciano intravedere bagliori di speranza (“Finché avrò luce non mi perderò/ finché avrò pace non mi perderò”, al pari del cantato di Vascellari, quasi sempre soffuso e ieratico e impostato in maniera talmente lieve da sembrare quasi fuori posto in un simile contesto.
Tra fughe al buio e bagliori del fuoco, tra il gelo dell’inverno e la speranza della fioritura scorrono così i trentatré minuti del lavoro, frutto di una sensibilità umana e musicale senza dubbio non comune nel nostro Paese.
Proprio per questo, nonostante la palese inavvicinabilità dei riconosciuti modelli (da Kozelek a Nathan Amundson, passando per Jessica Bailiff), va se non altro applaudito il coraggio con il quale il progetto Lullabier persegue, nell’ombra e in disparte, la sua proposta ardita e solitaria. (Music Won't Save You)

Fitoterapia di Lullabier (al secolo Andrea Vascellari), cantautore che abbiamo già incontrato lungo la nostra strada, è la classica piacevole sorpresa. La chiave che mi ha aperto il disco è stata il ringraziamento a Jessica Bailiff e a Nathan Amundson (Rivulets) nel libretto. Questi due nomi mi hanno permesso di capire l’operazione che Andrea sta mettendo in atto, cioè quella di rivestire la sua poetica e le sue canzoni semplici ed essenziali di influenze slow-core, drone-folk e ambient, molto adatte alla sua malinconia e al suo muoversi con discrezione. La storia di Fitoterapia è quella di un uomo che se ne va a vivere lontano dal resto dell’umanità e cerca di rimettersi in sintonia con la natura, ma che alla fine, pur avendo vissuto un periodo di pace, nell’inverno senza “Luce” (dal punto di vista musicale, il pezzo dove Andrea fonde al meglio tutte le suggestioni di partenza) si rende conto che non può comunque prescindere dal contatto umano. Lo lasciamo mentre si chiede se riuscirà a riallacciare gli affetti (inaspettata e dolorosa la coda solo ambientale di “Fuoco”).
Ci sono frangenti nei quali Andrea tocca tutte le corde giuste. Durante l’ascolto mi sono chiesto come sarebbe stato Fitoterapia con un grammo di distorsioni e riverberi in più, con una voce solo un pizzico più ferma e con qualche minimo passaggio di lima sui testi. La risposta è stata che a Oltrelanebbiailmare farebbero bene a tenerselo stretto e aiutarlo a crescere (mi pare che sul lato “ambient” di Lullabier da quelle parti ci sia più di qualcuno che possa dire la sua e dare due dritte). (The New Noise)

Lullabier, nome d'arte di Andrea Vascellari, non è un artista nuovo nel panorama indipendente italiano. Portano la sua firma numerosi singoli e pubblicazioni, fra cui gli album Mai Nulla Di Troppo eVerità Rivestite D'Ombra, editi nel 2011.
Solo dopo qualche mese prende formaFitoterapia, un concept di sole sette tracce sperimentali, che merita sicuramente un’attenzione particolare e l’utilizzo di qualche parola per descriverlo.
Fitoterapia è un disco malinconico, con un significato preciso e orientato alla complessa ricerca interiore della felicità. L'immagine mentale è chiara: un uomo stanco della folla, del caos, della velocità e della frenetica pazzia della metropoli cittadina, abbandona i palazzi per rifugiarsi del verde dei boschi.
Ascoltando questo album ogni senso diventa illogicamente percettivo. I colori musicali appaiono psichedelici, gli odori sono nitidi e i suoni rispecchiano la natura anche grazie alle stupende tecniche di field recording (registrazioni audio sul campo).
Fitoterapia rappresenta la fuga dalla realtà verso un paradiso, che solo banalmente potrebbe essere definito come inesistente. Leggendo fra le rime, salta all’occhio il significato ultimo di questo disco: un monito ad apprezzare la natura, le cose vere, sostanziose e non superficiali.
I testi non seguono una metrica poetica, ma sono scritti in prosa e formati da frasi brevi. Il contenuto viene ripetuto più volte, come fosse un ritornello o una preghiera.
La voce dell’artista è angelica. Sinuosa, flessibile e potenzialmente adatta al gospel e alle esibizioni corali, che in Fitoterapia sono lievemente accennate. L’uso del lessico è semplice e senza decorazioni estetiche. Nonostante questo, non mancano metafore, simboli e figure idonee a rendere mistico e trascendentale l’intero album. Una figura importante è, ad esempio, quella del “settimo sigillo”, che rappresenta il finale tragico appartenente alla visione apocalittica.
Lullabier è uno di quegli autori che reputa importante il farsi comprendere. Fitoterapia è portatore di un messaggio chiaro e diretto, che si racconta attraverso parole, suoni e immagini. Peculiare la semplicità dell’art work, che col bosco maestoso rispecchia appieno l’intento dell’intero progetto : il benessere attraverso la natura. (IThinkMagazine)

Ninnananne in solitario, fresche e ombrose. Come un novello Brahms, Andrea Vascellari in arte Lullabier, confeziona un pezzo di natura sonora dall'ampio respiro nordico. Alberi altissimi, per un bosco che è un polmone umano pulsante emozioni. Sette tracce che si abbracciano candide, in una specie di suite cantautoral-folk. Questo è Fitoterapia, nuova fatica di Lullabier uscito a inizio novembre per Oltrelanebbiailmare: poche note di chitarra, parole simbolo, e un’armonia solitaria e pacata per chi oltre all’ascolto desidera l’immaginifico. E come puntualizza lo stesso Lullabier ”si tratta di un concept-album di 33 minuti e 33 secondi. Un concept di quelli veri, come si facevano una volta (non un album a tema come quelli che vanno di moda oggi). Affronta il problema della chiusura in se stessi, attraverso il racconto metaforico di un uomo che abbandona la società civile per andare a vivere in solitudine nel bosco, scoprendo troppo tardi che la stessa natura umana porta alla socializzazione. E’ un’opera coesa, scritta e registrata nell’arco di pochi mesi, e influenzata dall’ascolto di molta musica ambient: ho cercato trovare un giusto equilibrio tra slowcore marziale, folk malinconico, field recordings e drones a dimostrazione, se ce ne fosse ancora bisogno, che chi ha ragione non ha bisogno di gridare”.
Il cd, in edizione limitata di trecento copie, viene venduto in una splendida confezione cartonata a quattro pannelli; ogni copia è numerata a mano e contiene una foglia proveniente dai boschi del Nordest. Il rimando a una natura silenziosa e quasi dormiente crea una sorta di evanescenza mista a sogno che rende il disco una vera perla di slow-core acustico orgogliosamente cantato in italiano, sottovoce e con grazia. Come graziosi sono gli arpeggi e i riverberi umidi di rugiada che si incontrano in questa elegante mezz'ora di fiaba sonora che concilia e medica le piccole o grandi ferite dell’animo umano. Già, proprio un farmaco: la fitoterapia infatti rappresenta in assoluto la prima forma di medicina utilizzata dall’uomo, come cura e prevenzione della malattia mediante la somministrazione di farmaci a base naturale. I farmaci fitoterapici quindi contengono principi attivi derivati esclusivamente dalle piante o da associazione di piante. “Fitoterapia” narra il valore della riflessione e il senso di comunione con la natura in un percorso introspettivo ricco di sfumature e soffuse cadute. Impalpabili carezze acustiche, tipiche di quel drone-folk che tanto deve a Rivulets e Mark Kozelek. E l’immersione nella natura lontano dal resto dell’umanità sembra suggerire una re-visione delle nostre abitudini, del nostro quotidiano così caotico e fumoso.
Alla ricerca dell’essenziale, lontano dalla folla, lontano dai palazzi. Sembra quasi di sentire un Brian Eno in cerca di risposte su se stesso e sul mondo, completamente incentrato sul concetto di comunione con se stessi e con la natura, come un attuale San Francesco che così si confessa in ”Stagioni”: ”Al buio aspetterò una nuova fioritura, dormendo con gli animali, cercando altri colori. Quando i grilli cantano e ogni grappolo è maturo, Sirio brucia testa e gambe degli uomini stanchi. Foglie cadono ancora, cambierà qualunque chioma: il fine sta nel principio, e ogni inizio è una fine”. La fitoterapia di mastro Vascellari ha curato ogni male e ci ha lasciato un pezzo di bosco. Basta guardarsi dentro al petto e respirare forte. (Shiver)

Andrea Vascellari, noto anche come Lullabier, non è nuovo alle nostre orecchie; di lui ci siamo occupati svariate volte, senza mai trovarci a rimproverarlo per mancanze incolmabili. "Fitoterapia" conferma che nemmeno oggi possiamo lamentarci.
Trentatré minuti e trentatré secondi di concept-album fondato sulla storia di un uomo che fugge dalla metropoli per rifugiarsi nella solitudine del bosco, passando dalla vita sociale a un'introspezione estremizzata. Nonostante la chiusura in sé stesso, tuttavia, il protagonista capirà che Aristotele non aveva poi torto.
Lo slowcore, quasi bradicardico, incontra l'ambient- a cui Vascellari s'è dedicato negli ultimi tempi-, sprigionando sette brani intrecciati e claustrali, coerenti in toto.
Per chi fosse interessato all'acquisto fisico del disco è necessario fare una puntualizzazione: sono soltanto trecento le copie prodotte, ciascuna numerata e confezionata in un cartonato che contiene pure una foglia proveniente dalle piante del Nord-Est d'Italia.
Insomma, una roba da élite, un po' come la musica di Lullabier.
Dopo la gioia di averlo aperto, però, preparatevi alla malinconia assoluta dell'ascolto. (LoudVision)

La Fitoterapia prevede l’utilizzo di piante o estratti di piante per curare malattie o per il mantenimento del benessere, ma è anche il titolo del nuovo album dei Lullabier, progetto interamente curato da Andrea Vascellari.
Ci troviamo di fronte ad un concept album (anche se sarebbe meglio dire un concept EP, vista la breve durata) di sette tracce, che vuole raccontare cosa significa chiudersi in se stessi. Il protagonista dell’album sceglie di abbandonarsi ad una vita nella natura, nel bosco, per riuscire a colmare quei vuoti che il mondo crea dentro di noi, fino a rendersi conto che in realtà la socializzazione e la convivenza sono due elementi irrinunciabili per la nostra vita.
Con una scelta coraggiosa, specialmente in un mondo che fa della velocità una sua componente essenziale, i Lullabier scavano nel profondo dell’anima per cercare di rendere chiaro il senso di abbandonoe di alienazione in cui stiamo lentamente scivolando, senza dimenticarsi però di lasciare una piccolasperanza in fondo al tunnel della vita. La malinconia è il sentimento che si evince più chiaramente ascoltando l’album, ma anche semplicemente leggendone i titoli (Fuga, Caduta, Vuoto).
I suoni dell’album si avvicinano molto al mondo electro-ambient cercando una commistione niente male tra dolci arpeggi di chitarra e la spazialità dei suoni d’ambiente. Ciò che forse dispiace un po’ è la registrazione del disco, che a tratti risulta un po’ debole sugli arrangiamenti, forse a causa di un lavoro fatto troppo in solitudine, senza un ascolto abbastanza critico.
Interessanti anche le liriche, che, con una scelta poetica essenziale, riescono a comunicare in maniera molto diretta i significati più nascosti delle canzoni. Peccato solo per la scelta di uno stile del cantato moltoflebile, che a volte confonde l’ascolto. Tra i brani segnalo in particolare le tracce Caduta e Vuoto, che mettono in luce la fortissima emotività che si nasconde nell’album.
Fitoterapia dei Lullabier non è un album per tutti, necessita di calma e curiosità, caratteristiche che raramente si rintracciano negli ascoltatori di nuova generazione, ma non c'è dubbio che metta in luce un talento nuovo e insolito, anche in un panorama variegato come quello dell'indie italiano. (GoldSoundz)

“Cemento armato! La grande città, senti la vita che se ne va!” cantava la voce ieratica di Tagliapietra in Cemento armato.Probabilmente l’appello disperato delle Orme deve essere giunto a Lullabier, che, in versione à la Brian Eno, costruisce un concept album totalmente incentrato su un concetto di comunione con se stessi e con la natura, lungi però dall’essere sprezzante nei confronti della realtà materiale. In questo senso bisogna infatti intendere le otto tracce dell’album, che si intrecciano come visioni sorrette da effimeri salti logici. Parlare di un disco visivo sembra quasi azzardare un ossimoro, ma quello che Lullabier ci propone è uno scrigno di vivide immagini che tentano di redimerci dai malsani e nevrotici spazi della frenetica società in cui viviamo. Tuttavia, se da una parte veniamo trascinati da facili sentimentalismi dovuti ai richiami evidenti ai temi e alla vocalità del progressive nostrano di Picchio dal Pozzo, Le Orme e Balletto di Bronzo, bisogna essere oggettivi nel rendersi conto che Fitoterapia accusa la pesantezza di una ricerca all’intimismo, a tratti, esagerata, in cui non trovano posto progressioni che spezzino l’ossessività degli arpeggi e la monotonia del timbro vocale. In ogni caso, è doveroso apprezzare il coraggioso tentativo di una giovane realtà, di usare l’italiano per dare voce alla sua non comune sensibilità. (OUTsiders)

Avec une telle pochette et un tel titre, Fitoterapia pourrait faire peur. Peut-être que si je comprenais les paroles (parce que moi l'italien...) de ce qui semble être un concept album (les plantes contre le stress de la vie en société ?), je serais moins emballé. Mais là, je suis charmé par la musicalité particulière des textes. Par le mélange de sonorités folk / acoustique, électrique / drone et "naturelles" (oiseaux, eau, véhicules, que sais-je encore) pour créer une ambiance très personnelle. Andrea Vascellari alias Lullabier s'éloigne progressivement de ses références (Rivulets, Barzin, Jessica Bailiff...) pour créer son univers à lui, à la fois pastoral et fantasmagorique. Un peu comme si Jérôme Bosch avait peint une forêt sombre et mystérieuse... (Dans Le Mur Du Son)

33 minuti e 33 secondi, quasi un concetto nel concetto. Cosi si presenta Lullabier, che sembra astrarsi completamente dagli usi metropolitani per abbracciare una filosofia di vita spirituale e riservata. Il disco è informato sicuramente dalla cultura ambient, ma porta altresi in dote l' influenza del piu' malinconico folk, dello slowcore e financo del drone. (Goodfellas newsletter)

Lullabier è il progetto solista di Andrea Vascellari, cantautore proveniente dal Veneto. E' stato pubblicato da poche settimane il suo terzo album Fitoterapia. Si tratta di un concept album che "Affronta il problema della chiusura in se stessi, attraverso il racconto metaforico di un uomo che abbandona la società civile per andare a vivere in solitudine nel bosco, scoprendo troppo tardi che la stessa natura umana porta alla socializzazione". Un tema suggestivo per un altrettanto suono caratteristico: le pulsioni cantautoriali e acustiche si fondono con field recordings e distorsioni e suggestioni semi-ambientali. Buona la scrittura e l'interpretazione vocale. Una malinconia senza drammi o banalizzazioni con un elevato impatto emotivo che viene rispecchiata soprattutto in brani come "Vuoto" "Verde", le due perle dell'album. (SonOfMarketing)

Recensioni di "The Italian leaving EP"

Andrea Vascellari dev’essere uno che si accontenta delle piccole cose semplici che la vita gli offre quotidianamente e lo dico sulla base dell’ascolto di questa sua nuova produzione discografica intitolata The Italian Leaving EPcomposta da tre tracce per un totale di quindici minuti scarsi di musica nei quali prevale un clima dove l’aria è sospesa, immobile e sognante, una nebbia dell’anima che cerca di riempire spazi ancora vuoti. Di scarso però c’è solo il minutaggio del minialbum perchè per il resto Lullabier, questo il nome dietro cui si presenta Andrea, confeziona tre canzoni di musicisti a lui affini, traducendone musica e testi che in comune hanno la tematica della partenza prima del viaggio, fisico o mentale non importa, quel che importa è partire, volente o forzatamente: dentro questa piccola valigia sono racchiusi e ben sistemati Low, Gravenhurst e Red House Painters i quali vengono omaggiati rispettivamente con “Il Piano”, “Nebbia intorno alla polena” e “La canzone di Katy”. Quello che ne viene fuori sono piccoli fiocchi di neve che lentamente scendono posandosi su un terreno già coperto da un bianco manto, tre piccoli punti bianchi, essenziali ma non per questo superficiali, attraverso i quali filtra una ventata gelida ma delicata. Un Ep da ascoltare proprio in questi giorni di bianco disagio, guardando fuori dalla finestra mentre lentamente la vita intorno si sghiaccia ricominciando il suo ridiscendere nella routine quotidiana. (Shiver)

Lullabier è lo pseudonimo di Andrea Vascellari, cantautore veneto che nel 2010 aveva dato vita al “The italian alcohol EP”, raccolta di cover a sfondo…alcolico; allora vennero scelti brani di Remora, Pale Horse & Rider e Rivulets, completamente riarrangiati dallo stesso Vascellari. Stavolta il tema è quello della partenza, e i brani scelti sono tratti da band quali Low, Gravenhurst e Red House Painters. Il tema della partenza può essere soggetto alle più svariate interpretazioni; una partenza per un viaggio, una fuga, o semplicemente un lasciare momentaneamente sé stessi, lasciarsi cullare dalle sensazioni e dai pensieri, nient’altro. Ascoltando questo EP viene voglia di infilarsi le prime cose abbandonate sulla sedia, uscire di casa, accendersi una sigaretta (sì, anche se magari non si fuma), e camminare, camminare fino a che se ne ha la forza. E poi magari tornare a casa, lasciarsi cullare dalle melodie tenere offerte da “La canzone di Katy”, e chiudere gli occhi. Non si può sapere che meta avesse Lullabier, né che destinazione volesse consigliare a chi avrebbe avuto al fortuna di ascoltare questi tre brani. Qualsiasi fosse la sua idea, la delicatezza che si avverte premendo “Play” e la semplicità delle melodie rigorosamente acustiche riscaldano l’anima, e preparano ad un viaggio che si prospetta sereno, calmo. “Partire è un po’ morire”, diceva il tale? Sarà anche vero, ma io grazie a Lullabier non avrei alcun dubbio. (LetLoveGrow)

Lullabier is Andrea Vascellari, an Italian musician who provides 3 tracks spreaded out over 15 minutes. He embarks on in melancholic way, singing in Italian, however, slow vibrations and warm harmonies and broad dreams used to ooze out from every chord and slot. Altogether, Vascellari shifts between shoegaze-ish glimpses, dream pop-esque plateaus, lofty singer-songwriter-ism, and of course, compelling slowcore-ish propulsions, which is the most dominating stylistic element he got involved in over there. (RecentMusicHeroes)

Lullabier dont on avait beaucoup aimé le dernier album, a mis un nouvel EP de trois titres, The Italian leaving EP en "name your price" sur Bandcamp. Et c'est plus que recommandé... (Dans Le Mur Du Son)

Lo scorso anno Lullabier ci aveva deliziato con il suo cantautorato soft e al contempo impegnato psicologicamente sfornando "Mai Nulla Di Troppo" e "Verità Rivestite D'Ombra". L'ultimo arrivato è un EP fresco fresco di produzione, costituito da tre semplici brani senza pretese: "Il Piano", "Nebbia Intorno Alla Polena" e "La Canzone Di Katy". Fattore legante della triade è il continuo sentimento di nostalgia che si ripercuote sugli strumenti (classicissimi chitarra, batteria e basso) e rende la voce uno pseudo-lamento piacevole a sentirsi. Andrea Vascellari non è cambiato da tale punto di vista, tuttavia si percepisce una lenta disfatta della perfezione iniziale. (LoudVision)

Recensioni di "Verità rivestite d'ombra"

La grazia di "Verità rivestite d'ombra" vive nel sussurro di Lullabier (aka Andrea Vascellari), fatto di contatti lievi e tremori profondi, di cifre liriche che intonano il brivido dell'esistenza con accento carezzevole e magnetico. Il suono delle corde pizzicate proietta la sua luce su tutta la linea musicale incontrando il tibro gentile di una vocalità raccolta nel suo crepuscolo di malinconia. Lullabier ama vestire la forma confidenziale del cantastorie che cattura delicatamente, sebbene in realtà sia depositario di una scrittura articolata e ricca di bordoni preziosi, talora turbata dal ruggito della elettrica, talaltra iniettata di ritmi siderali e guizzi elettronici, di luci notturne e cori di armonie alate. Pure carezze per la mente. (Rockerilla)

“Verità vestite d’ombra” si compone di otto canzoni, mesmeriche e minimaliste, fin dai titoli, tutti di una parola sola (“Calliope”, “Chance”, “Desiderio”, “Crepuscolo”, ecc.). Litanie accompagnate da chitarre cantilenanti, sostegno ritmico ridotto all’essenziale, voci, qualche linea di elettronica come macchie di Rorschach. Testi profetici, lapidari, mitologici, crepuscolari, il songwriter veneto è un tipo da seguire, una via italica allo slo-core, tendenza poco italiana. Non è che si ecceda in sadcore, ma insomma non mettete Lullabier come sottofondo a una festa, sia chiaro. Sebbene a volte i brani risultino un poco deboli melodicamente nelle parti vocali – su questo Lullabier a nostro avviso deve lavorarci su – la scaletta del disco, anche dopo diversi ascolti, non cessa di accattivare. La semplice, drammatica espressività di Vascellari fa centro in “Grisù”, che sprofonda minacciosa nello stomaco della terra; “Desiderio” è dream-pop in odore di Cocteau Twins; “Schiavi”, che pullula sopra un tintinnio di chitarre, sgorga lenta da chissà quanti ascolti dei Low; “Cyclette” sembra più aggirarsi nei paraggi degli Amor Fou. E se “Chance” è il momento di musica (più) leggera, tra Battisti e (se non sbagliamo) Grignani, “Neve” si dondola dentro quell’iteratività sospesa nello stile dei Red House Painters di “Ocean Beach”. (Il Mucchio)

Dopo una serie di album autoprodotti, e del precedente Mai nulla di troppo (su ViVeriVive, netlabel da lui ideata) Andrea Vascellari, in arte Lullabier, pubblica il primo disco su etichetta Oltrelanebbiailmare: Verità rivestite d’ombra. Si tratta fondamentalmente di un “cammino” artistico, quello di Lullabier, in cui nessuna tappa è stata bruciata, anzi, il suo ultimo lavoro è il risultato delle esperienze – siano esse vincenti o meno – che lo hanno portato a conquistare un piccolo spazio nel panorama musicale indipendente. Ascoltando il disco del giovane trevigiano, possiamo confermare quanto dice lui stesso sul suo sito, quasi disapprovandosi: Lullabier “parla troppo”, ma di questo dovrebbe compiacersi poiché le sue parole non sono mai vuote, piuttosto si tratta di ragionamenti musicali – sonori e lirici – di un certo spessore. Prendete come esempio la prima traccia, Calliope, magari mentre vi perdete nell’immagine che sovrasta la copertina dell’album, quella foto arida di colori, che viaggia sul treno dell’ambiguità del segno linguistico: troverete la stessa impenetrabilità nei suoi testi, dei microcosmi quasi ermetici, comprensibili soltanto in funzione del tutto, del disco nella sua interezza. D’altronde, uno che si permette metafore poco convenzionali, concedendosi pure qualche licenza poetica, non ha che da esser applaudito: “Sopra una cyclette pedalo e non raggiungo un obbiettivo: infiniti punti medi mi separan dall’arrivo”, perché la vita stessa è come una cyclette, si scende quando si ha realmente messo la parola fine. I temi del disco sono abbastanza variegati, c’è però un comune denominatore, un concetto ricorrente legato alla paura di soffocare, alla mancanza di ossigeno; si ascoltino Crepuscolo, ma soprattutto Grisù, quel gas incolore e inodore che “spezza le piume con un soffio”. Partendo dall’autovalutazione che Lullabier fa della sua musica, definendola minimalista, terapeutica e di facile ascolto, a noi sembra di trovarci in un territorio abbastanza neutro della musica indie. Un po’ come accade con un altro cantautore di “litanie ascetiche cullate su rintocchi ipnotici” (altra auto-definizione con la quale esaltiamo il suo parlar troppo), tale Maximilian Hecker, anche il lavoro di Lullabier non si incastra nelle vecchie scaffalature dei generi, seppur minimalista, e per questo, a detta di alcuni, facilmente catalogabile. La sua musica è contrastante nel nascere, Chance è si una ballata, ma chi mai avrebbe il coraggio di catalogare quel “in fondo non è così semplice attutire il colpo che è conseguente al salto, e rimanere almeno un po’ felice”, nello stesso ripiano di tronfi eccedenti di significato come sono i Marlene Kuntz o gli Afterhours? Insomma, musica, poesia e filosofia, non per tutti ma sicuramente per coloro i quali sono ancora in tempo per quel fascinoso treno del quale parlavamo pocanzi. Visto che sa farlo, lasciamo che sia Lullabier a concludere in bellezza, con le stesse parole della sperimentale Schiavi: “Spesso l’artista che tesse una trama sembra uomo a metà, se la sua arte è viva”. (Indie-eye)

Andrea Vascellari quest’estate mi manda il suo disco e mi dice che suona lo slowcorre. Che ama i Low e che ha aperto concerti, fra gli altri, di Jessica Bailiff. Io scopro poi che è assai giovane e che viene dal nord est. I conti non mi tornano. Lo slowcorre in Italia? Un giovane nordorientale che prende chitarra, qualche amico e poc’altro e fa un disco intero degno di questo nome e anche degnamente registrato? Qualche pregiudizio mi sfiora. Al primo ascolto però subito mi ricredo. E subito la ventata di fresca malinconia della chitarrina di Calliope mi fa sorridere. E subito dopo mi capita di canticchiare il ritornello di Cyclette, uno dei pezzi meglio riusciti, assieme a Grisù e alla ballatona finale Crepuscolo (o forse no, non so, ora vado a riascoltarla…si si penso che Andrea abbia fatto buoni ascolti in adolescenza, Red House Painters, e insomma tanta di quella roba lì…). Il ragazzo ci sa fare e ti trascina, per quanto possibile. E sembra ne sappia assai del genere di musica che suona. Forse i testi ed il cantato sono ancora un po’ pretenziosi e da sgrezzare (in alcuni pezzi c’era forse da usare meno parole…), ma la parte strumentale farà tornare alla mente dei pochi slowcorridori all’ascolto tempi musicalmente molto più fasti di questo. Mi piace un sacco questa chitarrina, cazzo. Tutta manna dal cielo per un tristone come me. Poi però storco il naso. Due volte. Delusione (pure troppa) per Chance e (un po’ meno) per Neve. Il giovane ci cade in un’improvviso e inaspettato rigurgito cantautoralprovinciale. Della provincia dei cantautori italiani un po’ facili e faciloni. Quelli che, per capirci, su queste frequenze non ci piacciono per nulla. Ma insomma sei pezzi su otto. Un giovane nordorientale che suona lo slowcorre. Mi sembra buono, cazzo. Molto buono, per i tempi che corrono. (Indie-Zone)

Lo avevamo lasciato pochi giorni fa con "Mai Nulla Di Troppo" - uscito ad aprile-; adesso, il produttivo e cupo ingegno di Vascellari offre all'audience altri otto frammenti di cantautorato italiano all'insegna di ritmi lenti e riflessioni che sfociano nella filosofia.
Vantante la partecipazione di Faro in "Neve" e "Cyclette", l'album si presenta in modo compatto e tremendamente sadcore, così com'era stato per i lavori precedenti.
La voce, tuttavia, è più curata e profonda: vi ci si perde quasi fosse un pozzo in cui è possibile rispecchiarsi nonostante le ombre siano protagoniste indiscusse della storia lunga più di mezz'ora.
Gli arpeggi di chitarra incantano ed ipnotizzano, mentre le basi elettroniche si confondono con la maestosità del basso, unica candela nel buio. (LoudVision)

Dietro il moniker Lullabier c’è il solo project di Andrea Vascellari, musicista che ha già al suo attivo diversi album, ultimo in ordine di pubblicazione è questo Verità rivestite d’ombra uscito da qualche tempo su etichetta Oltrelanebbiailmare. I punti di riferimento per Vascellari sono da ricercare in certo dream pop vicino ai Cocteau Twins o, per restare nel nostro Paese, agli squarci malinconici dei Magpie di Daniele Carretti (Offlaga Disco Pax), con punte di slow core affini ai Low, dei quali Alan Sparhawk risultava fino a qualche tempo fa compagno di rooster di Lullabier con la label Silber che ha pubblicato i lavori di entrambi.
Otto tracce nelle quali il tocco gentile e le liriche introspettive, ed in italiano, creano trame sonore eteree ed eleganti. (Shiver)

Aprile 2011 vede l'uscita di "Mai Nulla Di Troppo" distribuito dall'etichetta ViVeriVive, grazie all'opera di Lullabier, già attivo con diverse produzioni per la Silber Records, oggi è in prima linea con le sue "Verità Rivestite D'Ombra" per l'etichetta nostrana Oltrelanebbiailmare, disponibile in digitale e in cd in edizione limitata. L'album è scritto, prodotto e arrangiato dallo stesso Lullabier, nascosto sotto le vesti di Andrea Vascellari, il giovane cantautore veneto è qui accompagnato dalla chitarra di Stefano Faraon, co-arrangiatore dei brani "Cyclette" e "Neve", in collaborazione inoltre con Sergio Dal Cin per la registrazione e il mixer.
Otto tracce minimali sin dai titoli.. ascoltiamo melodie eteree, ritmi ipnotici seguiti da linee elettroniche in uno slo-core lento e malinconico, cullato da una voce elegante, profonda e riflessiva. La sua drammatica espressività non passa inosservata! Rimaniamo in attesa di ascoltare presto i nuovi racconti di Lullabier! (Alone Music)

Tempi lenti, modalità minimalista: la voce di Lullabier è carezzevole e malinconica, racconta (più che cantare) di ambienti crepuscolari, nebbiosi. La musica si apre rappresentando scenari meditativi, riflessivi e psichedelici con melodie che incantano. I suoi testi, di una filosofia originale, si avvalgono di metafore interessanti e introspettive. Sicuramente un artista intrigante ed enigmatico, poco “italiano” come approccio musicale: l'unico brano che si avvicina al cantautorato italiano è “Chance”. Ironia, l’unico ad avere un titolo in inglese. (Saltinaria)

I have listened to ‘Calliope’, the first track of this album and loved it. Loved the simple clean guitars and vocals although didn’t understand a word cause its being sung in Italian. Reminds me of a local singer I like (Fortis) that has this same writing quality and style. (LoFiles)

Et si finalement, la plus belle récompense du blogueur était de recevoir de temps en temps dans sa boîte aux lettres virtuelle, au milieu des innombrables sollicitations merdiques, un album dont il n'aurait jamais entendu parler autrement et qu'il va chérir ? Car s'il ne m'avait pas trouvé, serais-je tombé un jour sur la musique de Lullabier ? Disons le tout de suite, l'italien fait dans le slowcore (déjà un bon point pour moi...) et consacre même au "genre" un blog des plus complets. On pourrait facilement en faire le pendant local d'un Rivulets, d'un Barzin ou d'un Gravenhurst mais avec deux différences de taille : il chante dans sa langue et sonVerità rivestite d'ombra offre une variété de couleurs rare pour un album de ce style. Le premier point est très loin d'être neutre. Le chant en italien n'est guère fréquent chez les artistes qui nous intéressent et aura tendance à évoquer des mauvais souvenirs subis à la radio (Ramazzotti, Pausini, Zucchero...). Même léger ou murmuré, il propose un rythme et des sonorités différentes de ce à quoi on est habitué en anglais sur ce type de musique et demande un certain temps d'adaptation. Et une fois entré dedans, il a tendance à prendre toute la place... Musicalement, les huit titres de Verità rivestite d'ombra proposent bien plus de diversité que la plupart des disques de slowcore. Bien sûr, c'est lent et pas franchement festif (on vous déconseille de le sortir pour le réveillon ou alors avec le café de 6h du mat', pour ne pas renforcer la mal de crâne). Ca tient tantôt de la ballade, tantôt de la complainte. Mais les mélodies comme les textures se promènent sans cesse dans des univers différents. On navigue entre folk et dream-pop, flirtant parfois avec l'ambient ou le shoegaze. On trouve même un 'Schiavi' étonnamment Curesque... Bref, un très beau disque qu'on ne peut que conseiller à tout amateur de musique riche, calme et reposante. (Dans Le Mur Du Son)

Andrea Vascellari (Treviso) in arte Lullabier, un giovane che già ha aperto un concerto di Jessica Bailiff, colpisce per l’alacrità della sua ricerca artistica e per la sua produttività, avendo fatto uscire durante il 2011, nel giro di poco tempo, ben due album: Mai Nulla Di Troppo ad aprile (scaricabile gratuitamente) e Verità Rivestite D’Ombra a maggio. La prima cosa a saltare all’orecchio è il minimalismo etereo, dei testi e della musica, costruito mediante la sottrazione di quanto superfluo (non pare quindi una casualità che, come nota Gianluca Veltri, tutti i titoli siano composti da una sola parola). Ci sono poi delle dialettiche costanti tra gli arpeggi di chitarra e le basi elettriche, tra i riferimenti alla classicità greco-latina e quelli alla vita di ogni giorno. Capita di rado che un album si apra con un’invocazione al monte Elicona, seguita da quella alla Musa, o che figure mitiche (Calliope) convivano con oggetti quotidiani come una cyclette… Il cantautore sembra suggerire che proprio da cose a prima vista insignificanti, ma in realtà custodi di “verità rivestite d’ombra”, scaturisca l’epifania: Lullabier rende poeticamente queste verità con una sorta di correlativo oggettivo in grado di trasformarle in allegorie (pensare a frasi come sopra una cyclette pedalo e non raggiungo un obbiettivo: infiniti punti medi mi separan dall’arrivo). Sono dicotomie che creano un effetto straniante, una sorta di distonia emotiva, una tristezza controllata e immersa in un’atmosfera crepuscolare. Ogni volta che ci troviamo davanti ad artisti alla ricerca di un proprio stile è sempre difficile affibbiare un’etichetta al loro genere. A causa di arrangiamenti scarni e ritmi rallentati che ricordavano i Low (gruppo molto apprezzato da Andrea), si è parlato di slowcore (o slo-core, che dir si voglia). Come spesso accade, però, le griglie imposte dalla (legittima?) necessità di catalogare sono strette: così in “Chance” (paradossalmente, l’unica con un titolo non in italiano) si colgono rimembranze battistiane, mentre in “Crepuscolo” troviamo stilemi tipici della ballata struggente. Alcuni si sono lamentati di linee vocali un po’ deboli, ma a ogni modo va riconosciuto che quel tono da litania, quell’impostazione un po’ derivata (quasi un omaggio a Mark Kozelek dei Red House Painters, altra band che forma il background di Andrea), ben s’intona col clima generale del disco. Un lavoro ben fatto, davvero: la strada imboccata sembra essere quella giusta. (TheNewNoise)