Recensioni di "Lost In Translation"

Nella sua consapevole e fortemente voluta marginalità, stabilire se sia vocazione o condanna è lasciato alla personale interpretazione di ognuno, Andrea Vascellari non ha avuto difficoltà nel trovare sodali per "Lost in Translation", in cui ha chiesto a titolari di sigle come, tra le altre, Lycia, Rivulets, Zelienople, Tram, Dakota Suite, Coastal di tradurre in inglese i testi originali di alcune delle canzoni già pubblicate come Lullabier, riarrangiate per sola chitarra acustica, sfondo ambientale e linee vocali sottolineate, perpetuando quella decisa virata in direzione slowcore sancita dal precedente "Osservazione rilassamento e assenza di giudizio" e a cui vengono più marcatamente ricondotti anche brani apparsi in "Fitoterapia". Nella mai discussa coerenza dell'insieme, spiccano in una sequenza di semplice, forse elementare, bellezza, Escape, Icarus, Twilight, a scivolare in un profilo folk di una nitida malinconia che si sublima nella totale, disillusa, desolazione di Gleam, ma non si rifiuta qualche apertura a scenari per inquietudine miti, esemplari Snow, Animals, forse anche la rassegnazione di Desire. Per chi non può prescindere dal supporto fisico, fosse pure CDR, sono un'assurdità, data la qualità del disco, le appena 26 copie disponibili, bel dono per gli altri il gratuito download da Andrea elargito. (Blow Up)

Slowcore è termine che ben descrive l'andare sonoro di Andrea Vascellari, un musicista che sa giungere al centro dell'anima e lentamente riesce a risalire portando con sé la poesia che lì giaceva intatta. Dopo un anno di silenzio Lullabier torna a recitare i suoi intimi racconti incastonati di silenzio, accordi di chitarra e droni e lo fa a più voci, utilizzando i testi tradotti in inglese delle sue canzoni. Traduzioni eseguite da suoi simili, appartenenti a quel mondo acustico che sa diluirsi lungo i percorsi dolcemente solitari del songwriting: Tara Vanflower, Mark Rolfe, Brian John Mitchell, Nathan Amundson, Brian Przybylski, Matt Christensen, Paul Anderson, Chris Hooson e Jason T. Gough. Lullabier ne ha scelti nove, tra i suoi preferiti, e li ha invitati a proseguire e tradurre un percorso di intimità non solo sonora, aggiungendo così sfumature diverse ad un racconto sospeso tra il sogno e la poetica legata ad una modalità romantica che profuma di nebbia e fitta boscaglia. Rising for the moon. (Rockerilla)

È decisamente un punto d'arrivo, questo "Lost in Translation", per Andrea Vascellari, "il" cantautore slowcore italiano per eccellenza, abbastanza solo da noi nel suo genere per dover trovare conforto all'estero: per questo disco, si è avvalso della collaborazione di una lista piuttosto impressionante di personaggi (Mark Rolfe dei Lorna, Tara Vanflower dei Lycia ecc.), che hanno tradotto per lui i testi di canzoni edite, ma riarrangiate seguendo il gusto degli esordi del progetto Lullabier: acustica e field recording.
Il risultato è gradevolmente terapeutico, con quel pizzico di distacco dai testi, dato dalla lingua straniera, che rende più facile l'ascolto, soprattutto dato lo stile "ascetico", ultra-minimalista di Andrea, che in lingua nativa può risultare respingente.
Dal punto di vista strettamente musicale, gli arrangiamenti ai minimi termini richiamano placidi moti ondosi e lontani echi di tempesta, alla maniera dei Kings Of Convenience più introversi, o dell'ultimo Matt Elliott.
Si tratta, insomma, di un punto d'arrivo, ma anche di partenza, per Andrea, davvero ispirato nell'interpretazione del suo repertorio, per come azzecca i piccoli accorgimenti con cui sottolinea i passaggi dei suoi brani (l'uso della voce in "Bonds", il suono "sitaristico", liturgico della chitarra in "Fire" e "Desire", e così via). (OndaRock)

Nella penombra a lui più congeniale e in maniera del tutto eccentrica rispetto alla “scena” (?) indipendente nazionale, Andrea Vascellari coltiva ormai da qualche anno con Lullabier l’ambizioso obiettivo di realizzare una credibile proposta slow-core cantata in italiano. Ne ha dato prova nel suo ciclo di album (il più recente “Osservazione rilassamento e assenza di giudizio” risale al 2014), che anche grazie ai suoi contatti, da puro estimatore del genere, con alcuni dei suoi principali interpreti internazionali, ha avuto modo di essere conosciuto e apprezzato all’estero sicuramente più di quanto non lo sia stato in patria.
Da tutto ciò nasce l’idea, in qualche misura uguale e contraria, sottostante a “Lost In Translation”, raccolta di brani già dello stesso Vascellari, affidati all’interpretazione e, appunto, alla letterale traduzione, da parte di nove artisti stranieri. È stato un po’ come restituire alla sua originaria dimensione comunicativa un linguaggio musicale invece non senza fatica piegato alla lingua italiana.
E anche se non tutte le versioni sono perfettamente fedeli (pare che qualcuno dei partecipanti si sia limitato a usare una traduzione automatica!), il delicato intimismo dei brani di Lullabier rivive in una varietà di forme diverse grazie a una schiera di artisti di grande valore, che spazia da Tara Vanflower dei Lycia a Jason Gough dei Coastal, passando per Nathan Amundson, Chris Hooson, Matt Christensen e altri ancora. Ciascuno aggiunge la propria sensibilità a brani che vivono di vita nuova, pur continuando a brillare del tocco lieve dell’artista italiano; così, ciascuna canzone potrebbe ben essere scambiata per un originale dei vari Lorna, Dakota Suite, Rivulets, etc., dalla dimessa introspezione di Hooson all’aggraziata fluidità pop di Mark Rolfe, dalle fragili linee acustiche di Hooson ai torpori crepuscolari di Matt Christensen.
Benché l’operazione sottostante a “Lost In Translation” fosse, in fondo, non meno difficile di quella condotta da Vascellari nella sua lingua natale, la riuscita è sorprendentemente piacevole, un regalo (nel formato digitale) da parte di un appassionato del genere ad altri appassionati che sapranno senz’altro apprezzarlo. (Music Won't Save You)

Oi Amici! Eccoci tornare a segnalare con decisa vocazione difficile un disco che apparentemente, così ad un primo ascolto pare pure facile. Non sarebbe, però, corretto liquidare come “semplice” il nuovo lavoro di Lullabier.
L’artista di Vittorio Veneto (estremo nord-est della provincia di Treviso) ha chiesto a 9 musicisti stranieri di tradurre 9 pezzi già precedentemente editi in italiano dallo stesso slowcorer veneto. Il risultato è una raccolta di pezzi riscritti e riarrangiati in maniera minimale e minimalista: voce, chitarra acustiche, elettronica.
La musica, così vicina a Low e altre band slowcore, è intensa e densa nonostante i pochi suoni utilizzati ed è, infine, sicuramente difficile per i pochi riferimenti lasciati a chi ascolta oltre alle poche parole e ancor meno note che tratteggiano i paesaggi sonori di Lullabier. (Musica Difficile Italiana)

Proving that slowcore is alive and well, Lullabier’s “Lost In Translation” is a powerful, moving album. Reminiscent of similar slowcore bands like Low and a kinder version of Codeine, the exploratory sensibility of the group keep things quite engaging. Crisp, folk-infused arrangements flow throughout the album. Throughout the album Lullabier lets elements of folk, rock, and dream pop comes together to develop into a serene swirl of sound. Lyrics have a poetic quality to them as they seemingly evaporate into the air. 
A blissful organ opens the album off on a note of grandeur with “Escape”. From there a spry and simple yet effective beat take hold. Rather touching in its temperament is the reflective work of “Icarus”. The deliberate pacing of “Bonds” makes it one of the album highlights. With a gorgeous chorus the song has a peaceful meditative quality to it. Nimble guitar work adds to the tactile, emotional impact of the sound. Languid rhythms reveal themselves on the sleepy style of “Snow”. Easily the highlight of the album “Snow” has a warm inviting presence to it. Rather loose and free is the spirited performance of “Desire”. Tender in tone is the gentle “Gleam” another highlight of the album. Ending the album off on a playful note is the celebratory “Animals” whose tribal rhythm works wonders. Nearly psychedelic in hue the song possesses a true sense of comfort. 
Tasteful, timeless, and elegant, Lullabier’s “Lost In Translation” is a satisfying, lovely piece of work. (Beach Sloth)

FZB favorite Lullabier is back with Lost In Translation, his new album of songs reimagined. The album features nine tracks from previous releases translated to English and rerecorded with only vocals, acoustic guitar and an ambient accompaniment. Starkly beautiful, engaging and intimate, this is our favorite thing that Lullabier has done. A masterpiece that is a must have. Stream and download Lost In Translation at the link below. (Floorshime Zipper Boots)

C'est le grand retour de l'italien Lullabier avec Lost In Translation où il ré-orchestre et reprend en englais neuf de ses chansons traduites par des amis musiciens et qui est disponible en "name your price" sur Bandcamp où l'on peut aussi acheter la version CD. Indispendable! (Dans Le Mur Du Son)

Lullabier ist eine aus italien stammende folk, alternative band, die von andrea vascellari gegründet wurde. er selbst beschreibt seine musikrichtung als slowcore, drone-folk, ethereal pop.
auf ihrer bandcamp-seite gibt es das album als free-download bzw. als "buy now name your price", tippt einfach 0 ein wenn ihr auf "buy now name your price" klickt. (Don Quichote)